Il nuovo libro dell’economista Luciano Canova, edito da Hoepli

Pop Economy, il futuro sarà come lo disegniamo oggi

«Un promemoria per chi deve e vuole modificare la realtà innovando»

L’ultima fatica dell’economista Luciano Canova, Pop Economy, si apre con una citazione attribuita a Niels Bohr: «È duro fare previsioni, soprattutto riguardanti il futuro». Il celebre fisico danese avrebbe avuto di che dirne, sull’incertezza dell’avvenire; da pacifico pioniere della meccanica quantistica si trovò catapultato a collaborare al progetto Manhattan per abbattere la minaccia nazista, per divenire poi una forte e autorevole voce contro l’uso delle armi atomiche. Furono quelli anni in cui anche scienza e tecnologia contribuirono a sconvolgere la vita di Bohr, insieme a quelle di milioni di altre persone: non solo rendendo possibile l’incubo dell’atomica, ma preparando il terreno alla magnifica rivoluzione elettronica e informatica che avrebbe di lì a poco invaso tutto il globo.

Dal dopoguerra in poi, la corsa della tecnologia si è fatta frenetica come mai prima nella storia dell’uomo. C’è chi – come l’Economist – si domanda se riusciremo mai a ripetere la performance straordinaria di quegli anni, o a inventare di nuovo qualcosa di rivoluzionario (e utile) come Internet. Si tratta di una domanda più che legittima;  basta però riconoscere che, nel bene e nel male, anche un dio minore come Facebook influenza ormai in modo deciso le nostre vite. Con qualche divertente (ma robustamente argomentata) stima di costo-opportunità, proprio Canova sancì in 3.650 euro il valore del tempo che ogni italiano, in media, ha trascorso nel 2013 sul social network di Menlo Park; moltiplicato per le ore totali, la cifra arriva a 95 miliardi di euro: un valore pari al servizio sul debito pubblico pagato dall’Italia nell’intero anno.  Non proprio briciole.

In Pop Economy però l’autore va oltre il divertissement, e allarga lo sguardo su alcune delle più credibili innovazioni disruptive che promettono di rivoluzionare il nostro approccio alla vita quotidiana. Promettono, e non minacciano, perché filo conduttore dell’intero volume è un disincantato ottimismo, che pur non nasconde alcuni scottanti interrogativi, come quelli legati alla crescente disoccupazione tecnologica. «La disruption passa dall’impossibilità di fare previsioni lineari – si legge in coda al volume –, ma anche dalla speranza che il mondo sia un luogo migliore dove vivere: si tratta di decidere se rimettere segno più al futuro».

I nostri sono tempi incerti, liquidi, ma non per questo necessariamente bui. Come sempre la sfida cui siamo chiamati rimane quella di plasmare e incanalare il progresso, non frenarlo. E l’ambizione di Pop Economy è quella di proporsi come sobria guida: «Un promemoria – chiosa Canova – per chi deve e vuole modificare la realtà innovando».

Dall’esponenziale pervasività dei Big data alla diffusione del crowdfunding, passando dalle intuizioni del paternalismo libertario – il nudge –  a quelle della green economy (senza dimenticare alcuni antidoti al disperante moltiplicarsi di bufale virali), in Pop Economy si disegna infatti una mappa del possibile. I più attenti noteranno come sulla cartina sbuchi talvolta anche greenreport, e di questo siamo orgogliosi: Luciano Canova è tra le firme della prima ora nel think tank della nostra redazione, e alcuni semi gettati su queste pagine sono poi germinati nel volume edito da Hoepli. Per quanto piccoli, si tratta di semi da coltivare con cura. «Qualcuno disse che il futuro ci imita – sottolinea Canova – e, dunque, proviamo a costruirlo strada facendo».

I peggiori grattacapi arrivano infatti solo quando lasciamo che il futuro arrivi in punta di piedi, senza far rumore. È allora che vi sbattiamo dolorosamente la testa contro. Per ricorrere a un aneddoto estremo, è utile qui ricordare il first contact incredibilmente avvenuto nel 1931 tra i primi, moderni australiani e il milione di individui che allora abitava gli altipiani della Nuova Guinea, perfettamente all’oscuro del resto del mondo e ancora dedito (nel XX secolo) all’utilizzo di strumenti in pietra. Un popolo con uno stile di vita per certi versi paragonabile a quello che imperava 11mila anni fa in tutte le civiltà umane si trovò così d’improvviso di fronte a uomini bianchi – o meglio rossi, come gli occidentali venivano etichettati da quelle parti – dotati di aerei, fucili e macchine fotografiche.

Si tratta di uno shock difficilmente immaginabile, le cui conseguenze meritano di essere approfondite: nell’arco di una sola generazione, nonostante tutto, alcuni neo-guineani sono riusciti a passare dal costruire asce di pietra all’imbarcarsi su voli intercontinentali, compiendo un “salto temporale” che ha dell’incredibile. Certo, ancora oggi l’amalgama tra due culture e modi di vita tanto diversi non può dirsi completo, ma eventi eccezionali come questo ci insegnano che anche dai più traumatici incontri con la tecnologia si può sopravvivere, e uscirne con possibilità di vita migliori.

Per aumentare le probabilità di successo, è indispensabile però farsi trovare preparati; una possibilità giocoforza negata agli altipiani della Nuova Guinea negli anni ’30 ma che noi invece abbiamo, almeno in misura maggiore. Libri come Pop Economy sono delle sveglie a tempo: mettono in allerta, avvisano che il vento sta cambiando e… aiutano ad attutire il colpo.