Il seguente testo è stato redatto per il settimanale ambientale de "il manifesto", l'ExtraTerrestre, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale

Quanta energia produce un corpo umano?

La grandissima energia umana dissipata aspetta soltanto nuove invenzioni e nuovi materiali per contribuire, almeno un poco, al crescente fabbisogno energetico della nostra società

Qualsiasi animale, compresi gli esseri umani, è una macchina che trasforma la materia del cibo e genera energia. La fonte di energia è costituita dalle molecole organiche, composte di carbonio, idrogeno e ossigeno, presenti nei nostri alimenti: carbonio e idrogeno bruciano con l’ossigeno dell’aria introdotto con la respirazione, immettono nell’aria, con la respirazione, anidride carbonica e vapore acqueo, e liberano energia. Il cibo ingerito ogni giorno da una persona media contiene circa 2500-3000 chilocalorie di energia in parte impiegata per tenere in moto le pompe biologiche che fanno circolare il sangue nel corpo e in parte trasformata nell’energia meccanica del lavoro muscolare.

Per millenni il lavoro muscolare degli schiavi o degli operai ha azionato le macchine, ha sollevato e spostato pesi; se si guardano le piramidi o i monumenti dell’antichità si resta sbalorditi pensando che sono stati edificati con il lavoro muscolare umano. I primi economisti hanno riconosciuto che il valore di una merce poteva essere misurato sulla base del lavoro umano necessario per produrla. Oggi la maggior parte dell’energia viene dal petrolio o dal carbone e il contributo economico dell’energia muscolare umana è relativamente secondario: eppure ogni volta che alziamo un piede o un braccio o che teniamo in mano il giornale o la penna, quando teniamo stretto il volante dell’automobile, o camminiamo, lo facciamo a spese di una frazione dell’energia meccanica del nostro corpo.

La quantità di energia meccanica del lavoro umano è grande; la potenza del lavoro muscolare si può stimare, come grossolana approssimazione, per ogni persona, di circa 80 watt; l’energia prodotta in un anno è di circa 250 chilowattora, più o meno un decimo dell’energia elettrica che la stessa persona utilizza nella vita quotidiana. Il lavoro muscolare di tutti gli abitanti della Terra corrisponde a circa un decimo del consumo mondiale di elettricità (circa 25.000 miliardi di kWh nel 2017).

La maggior parte dell’energia muscolare umana serve per muoversi, lavorare e compiere vari gesti quotidiani, per la maggior parte perduta, dal punto di vista economico, pur trattandosi di energia rinnovabile in quanto deriva dalla combustione del cibo, a sua volta prodotto, direttamente o indirettamente, dal Sole nei campi.

Durante la seconda guerra mondiale erano usati dei generatori a mano per azionare radio da campo; fino a qualche anno fa l’energia umana era utilizzata per azionare le macchine da cucire a pedale; in molti paesi poveri con il lavoro umano o con l’elettricità prodotta da dinamo azionate da rudimentali biciclette vengono azionate macchine per semplici lavori domestici.

La bicicletta è comunque oggi la più diffusa macchina per l’utilizzazione dell’energia umana. Nata originariamente come mezzo sportivo, la bicicletta è ormai usata in gran parte come mezzo di trasporto delle persone, ma anche di merci nei paesi in via di sviluppo, e anche in quelli industriali (i riders, fattorini ciclisti che portano alimenti a casa e altri).

Un ciclista che pedala per un’ora usa circa 80 Wh di energia umana; una piccola frazione è trasformata in energia elettrica con la dinamo che alimenta la lampadina, l’utile invenzione che risale agli anni venti del secolo scorso.

Ecco che comincia a circolare qualche idea di utilizzare l’energia umana per produrre elettricità su scala maggiore con biciclette fisse con i pedali collegati ad una dinamo.

In alcune prigioni americane è stata offerta ai detenuti la possibilità di occupare qualche ora del giorno pedalando, in cambio di qualche piccolo vantaggio come compenso per l’elettricità prodotta.

Molte scuole e associazioni sportive e ecologiche hanno pensato di collegare le biciclette con generatori di elettricità. A Roma alcuni anni fa il professor Oscar Santilli dell’Istituto Tecnico industriale Vallauri (ora Istituto superiore di istruzione Ezio Ferrari) ha organizzato una palestra dotata di postazioni di biciclette collegate con dinamo che producono una parte dell’elettricità usata dalla scuola. La quantità di energia generata da ciascuno studente è contabilizzata e garantisce piccoli premi.

Proprio in questa estate 2018 in varie città del Trentino Alto Adige è in circolazione un ciclocinema, montato su bicicletta, la cui energia è fornita dagli stessi spettatori che si alternano su dieci biciclette che producono, nel complesso, un chilowattora in ogni ora di proiezione. Sono stati costruiti automobili a pedale e vari aerei pure a pedale; uno di questi ha attraversato il canale della Manica.

Ma ci sarebbero altre soluzioni: l’energia muscolare del passo di una persona si traduce in una pressione sulla strada o sul pavimento. L’energia dissipata dall’agitarsi dei frequentatori di una discoteca corrisponde a molti chilowattore per notte con cui si potrebbero alimentare lampade e altoparlanti. Per recuperare una parte di tale energia una discoteca di Rotterdam ha inserito nel pavimento delle piastrelle leggermente oscillanti; il movimento dovuto alla pressione dei passi dei ballerini è trasferito, mediante molle e ingranaggi, ad una dinamo che produce elettricità.

La pressione dei passi su un pavimento o su una strada può essere recuperata sotto forma di elettricità sfruttando l’effetto piezoelettrico. A Parigi nel 1880 il fisico Pierre Curie (1859-1906) (marito di Marie Curie (1867-1934), la celebre scienziata che ha isolato gli elementi radioattivi radio, radon e polonio) scoprì che in alcuni materiali, sottoposti a pressione, si formava una corrente elettrica proporzionale alla pressione; i primi materiali in cui è stata osservata questa proprietà furono il quarzo, il tartrato di sodio e potassio e pochi altri. L’effetto piezoelettrico, il cui nome deriva dal verbo greco piezein, comprimere, ha avuto molte applicazioni soprattutto nel campo dell’acustica; il suono infatti corrisponde ad una pressione che può, mediante questi dispositivi, essere rivelato sotto forma di corrente elettrica.

La crescente domanda di sensori piezoelettrici ha fatto progredire le conoscenze del fenomeno fisico e ha portato alla scoperta di nuovi materiali dotati di proprietà piezoelettriche, come il fluoruro di polivinilidene, il titanato zirconato di piombo e altri. A partire dagli anni novanta del Novecento tali materiali sono stati sperimentati per trasformare la pressione del piede umano in elettricità; l’esercito americano ha studiato delle scarpe con i sensori piezoelettrici inseriti nelle suole o nei tacchi; tali sensori sono stati anche applicati agli zaini in modo da produrre piccole, ma non trascurabili, quantità di elettricità dalle pressioni determinate dal movimento delle persone.

Da qui all’idea di trasformare in elettricità la pressione del passo delle persone su una strada il passo era breve. Lo ha fatto Alexandre Marcel, il vicesindaco della città francese di Tolosa, capitale dell’industria ad alta tecnologia, che ha costruito alcune strade pedonali con questi sensori piezoelettrici incorporati nel pavimento; una simile applicazione è stata fatta a Torino e in alcune pedane usate per esercizi sportivi, così gli utenti dimagriscono, ci guadagnano in salute e la società risparmia elettricità e emette di meno gas serra.

Il campo della piezoelettricità e delle sue applicazioni è ancora abbastanza poco esplorato; anche le celle fotovoltaiche facevano sorridere come generatori di elettricità nel 1952 quando sono state scoperte le proprietà di semiconduttore del silicio: eppure oggi alimentano una fiorente industria con applicazioni nel campo dell’utilizzazione dell’energia solare e nella microelettronica. La grandissima energia umana dissipata aspetta soltanto nuove invenzioni e nuovi materiali per contribuire, almeno un poco, al crescente fabbisogno energetico della nostra società.