Rivoluzione nella scienza triste: nasce l’economia sperimentale

L’approccio sperimentale, nel buio epistemologico neoclassico, ha il merito di accendere una lampada di Diogene che possa fare luce sui modelli tradizionali del pensiero economico standard. Il programma di studi cominciato negli anni ’70 da Daniel Kahneman e Amos Tversky segnò una svolta radicale. I due ricercatori, premiati con il premio Nobel del 20021 insieme a Vernon Smith, ebbero il merito di battere una nuova strada che modificò nell’essenza la teoria della scelta razionale.

Da un punto di vista scientifico, il programma di ricerca tradusse rigorosamente le intuizioni del Keynes della Teoria della probabilità (1921). Ciò che l’economista inglese aveva trattato come tantaliche limitazioni all’analisi, visto l’imponderabile ruolo che la soggettività esercita nella valutazione degli eventi incerti, diventò un insieme di vincoli cognitivi al centro di una teoria che si pone l’obiettivo di ribaltare completamente la prospettiva con cui il processo di scelta viene considerato.

La razionalità nella teoria dei prospetti (questo il suo nome), lungi dall’essere assoluta, è soggetta invece all’adozione di euristiche attraverso cui individui con limitata capacità di calcolo prendono decisioni strutturalmente e inevitabilmente imperfette.

La portata della svolta è notevole, innanzitutto perché viene appunto meno l’idea dell’Homo Oeconomicus, infallibile quanto lontano dalla realtà e algido nella sua esistenza priva di errori. Le distorsioni cognitive, evidenziate sistematicamente dagli esperimenti di Kahneman e Tversky, producono un effetto rinfrescante sui rapporti tra economia e psicologia, riavvicinando le due discipline.

Il riconoscimento di bias sistematici alla base dei processi decisionali umani trova un’altra conferma nell’avversione alle perdite (Tversky e Kahneman, 1991), che fonda la teoria dei prospetti e può spiegare diversi dei paradossi o delle eccezioni presenti all’interno della scuola neoclassica.

Le persone reali, infatti, non danno la stessa importanza a un guadagno o a una perdita di pari entità.
Perdere qualcosa, vuoi per un effetto dotazione o, piuttosto, per un contenuto emotivo del possesso che, automaticamente, “attacca” un valore materiale allo stesso, ha un peso più che doppio, secondo i risultati sperimentali2, del caso in cui lo si vince.

Kahneman e Tversky (1979) sostituiscono la funzione di utilità con una funzione di valore che è fondamento della loro teoria dei prospetti. Si tratta di una rivoluzione perché essa propone una vera e propria alternativa descrittiva alla teoria dell’utilità attesa, al punto che un economista sperimentale, Camerer, è giunto a rivendicarne ufficialmente il ruolo di nuovo paradigma sul finire degli anni ’90.

La portata del cambiamento si accompagna a una visione dell’incertezza completamente nuova.
L’avversione alle perdite, per esempio, è maledettamente importante quando si considerano i meccanismi di compensazione monetaria basati sulla WTA (Willingness to Accept o disponibilità ad accettare) e sulla WTP (Willingness To Pay o disponibilità a pagare)  d’ispirazione neoclassica.

Secondo il teorema di Coase (1960), un classico della teoria economica che dimostra come lo scambio di mercato produca autonomamente un’allocazione socialmente efficiente delle risorse, WTA e WTP dovrebbero controbilanciarsi esattamente, ma i risultati sperimentali mostrano che un conto è rinunciare a qualcosa che si ha e un conto è pagare per qualche cosa che si vorrebbe avere ma che, ancora, non si possiede.

La rivoluzione sperimentale è importante, poi, anche per altri aspetti. Innanzitutto, perché mette in discussione profondamente un secondo elemento chiave della retorica neoclassica dominante: l’utilizzo del metodo deduttivo.

A un sistema di assunzioni indimostrabili da cui vengono, per l’appunto, dedotte le conclusioni di qualunque modello teorico, per quanto sofisticato ed elegante esso sia, si sostituiscono batterie di esperimenti in laboratorio che verificano un’ipotesi osservando direttamente il comportamento dei soggetti in azione. Ogni teoria viene dunque indotta dall’evidenza empirica.

Naturalmente, la rilevanza scientifica di un esperimento (la cosiddetta validità esterna che ne consenta la replicabilità) non è semplice da ottenere: isolare persone in un laboratorio e trattarle come molecole di un esperimento biologico rappresenta, inevitabilmente, una sfida complessa, tanto che la comunità scientifica fedele all’approccio neoclassico utilizza proprio questo come argomento critico principale per sminuire i risultati dell’economia sperimentale e negare la significatività degli stessi3.

In realtà, e ci ripetiamo, la vera rivoluzione sperimentale sta nel mettere in discussione la filosofia dell’homo oeconomicus e il modo stesso di concepire e utilizzare l’ipotesi di razionalità in un’analisi empirica.
La flessibilità e rilevanza dell’economia in laboratorio, in ambito di policy, è tanto più importante quanto più si pensa alla possibilità operativa di replicare o simulare comportamenti in fase di valutazione di un investimento o di scelta di una strategia politica.

Non è un caso che le società di consulenza americane e le divisioni marketing di un numero crescente di aziende si avvalgano sempre più dell’apporto dei migliori sperimentalisti. E non è un caso che una vera e propria filosofia politica, il paternalismo libertario ispirato al nudge di Richard Thaler e Cass Sunstein (2008), stia alla base della leadership politica di Barack Obama e James Cameron.

Infine, il metodo di Kahneman e di Vernon Smith, il quale si è concentrato prevalentemente sulla definizione di un set di esperimenti che testasse in laboratorio la teoria neoclassica per quanto attiene alla forma dei mercati, ha smosso le acque anche all’interno della teoria dei giochi, rispetto alla sua prima formulazione, esaltante ma prevalentemente meccanica, di Von Neumann e Morgenstern.

La behavioural game theory è la teoria dei giochi applicata in laboratorio: l’uso della psicologia, insomma, quale ingrediente volto a dinamizzare l’interazione strategica tra agenti e in grado di verificare gli incentivi al comportamento cooperativo o conflittuale tra persone auto-interessate. Ci sono intere strutture, laboratori scientifici sempre più importanti all’interno di numerosi atenei4, in cui la ricerca avanza per piccoli salti e mette continuamente in discussione i risultati acquisiti.

Un modo sicuramente più concreto per affrontare la crisi attuale, che è anche occasione di rivedere teorie ormai obsolete nel descrivere il comportamento umano.

1Amos Tversky morì qualche anno prima del premio, ma Kahneman ha sempre condiviso il merito dello stesso con il collega.

​2Kahneman, Knetsch e Thaler (1990).

3A questo proposito, è utile ricordare che persino gli esperimenti biologici creano in laboratorio ambienti artificiali atti a testare la validità di un’ipotesi.

4Uno su tutti, http://gametheory.tau.ac.il/ diretto da Ariel Rubinstein. 

Bibliografia

Kahneman D. e Tversky A. (1979), Prospect Theory: an analysis of decision under riskEconometrica, Vol. 47, No. 2. (Mar., 1979), pp. 263-292

Kahneman D., Knetsch J.L. e Thaler R. (1990), Experimental Tests of the Endowment Effects and the Coase Theorem, Journal of Political Economy Vol. 98, No. 6 (Dec., 1990), pp. 1325-1348

Thaler R. e Sunstein C. (2008), Nudge- Improving decisions about health, wealth and happiness, Yale University Press
Tversky, Amos & Kahneman, Daniel, 1991. “Loss Aversion in Riskless Choice: A Reference-Dependent Model,” The Quarterly Journal of Economics, MIT Press, vol. 106(4), pages 1039-61, November.

Fonte: OilProject.org