Il seguente testo è stato redatto per il settimanale ambientale de "il manifesto", l'ExtraTerrestre, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale

Ronchi: dagli investimenti su energia e clima possibili 900 mila unità di lavoro in 5 anni

Secondo il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile «la riallocazione dei sussidi negativi e neutrali per l’ambiente è certamente una priorità»

«Smettiamola di dire che l’Italia ha fatto la sua parte per il clima, anzi che avrebbe fatto meglio degli altri Paesi». Sono parole sue presidente: che cosa intende dire?

«Nel 2017, anche se il dato non è ancora ufficiale, si stima che le emissioni di gas serra in Italia siano cresciute fra lo 0,5% e l’1%. Negli ultimi 4 anni, in presenza di una modesta ripresa economica, il processo di decarbonizzazione sembra essersi fermato: l’intensità energetica del Pil è rimasta costante attorno ai 120 tep per milione di euro; i consumi di energia tra il 2014 e il 2017 sono tornati a crescere da 166 a oltre 170 Mtep; le rinnovabili, dopo la forte crescita del periodo 2005-2013, nell’ultimo quinquennio si sono quasi fermate intorno al 17% del fabbisogno energetico, con un modesta crescita dal 17,4 nel 2016 al 17,7% nel 2017».

È cambiato qualcosa con l’arrivo del governo M5S-Lega in termini di politiche per lo sviluppo sostenibile?

«È presto per fare una valutazione complessiva dell’operato di questo nuovo governo in materia di green economy e di sviluppo sostenibile: parlo ovviamente di misure effettivamente approvate e operative, non di intenzioni, programmi e annunci. Se leggiamo il primo Documento di programmazione economica e finanziaria e le prime bozze commentate dalla stampa della manovra economica e della legge di bilancio, non pare proprio che la sostenibilità e le scelte di green economy siano fra le priorità. Siamo in attesa di misure importanti: il nuovo decreto sulle rinnovabili, la risoluzione delle questioni aperte per l’End of Waste dopo una sentenza del Consiglio di Stato, il recepimento delle nuove Direttive europee sui rifiuti e l’economia circolare e il Piano delle misure per l’energia e il clima. Questo pacchetto farà capire qualcosa di più della direzione di marcia di questo governo in materia di sostenibilità e green economy».

Secondo il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, il ministro dello Sviluppo economico Di Maio «ha il potere di aumentare gli incentivi alle rinnovabili e all’efficientamento energetico tagliando i sussidi diretti e indiretti ai combustibili fossili (nel 2016 sono stati 14 miliardi ), ma finora non l’ha fatto». Secondo lei si tratta di una priorità?

«La riallocazione dei sussidi negativi e neutrali per l’ambiente mi pare certamente una priorità nel cambiamento dell’economia in direzione di una green economy. Una parte di questi sussidi andrebbe riallocata nello stesso settore, cambiandone le finalità. Per esempio quelli molto consistenti all’agricoltura potrebbero essere finalizzate al rafforzamento degli indirizzi green: del pagamento dei servizi eco-sistemici, della gestione forestale sostenibile e via dicendo».

Il ministero dell’Ambiente nel 2017 ha pubblicato un apposito Catalogo in cui spiega come i Sussidi ambientalmente dannosi (Sad) siano ancora più ampi, pari a 16,2 miliardi di euro l’anno; da allora il Catalogo non è però più stato neanche aggiornato, contravvenendo ai termini di legge. Si tratta di risorse che avrebbero potuto essere re-indirizzate con la legge di Bilancio 2019?

«In effetti so di un’iniziativa del MEF per la riallocazione di una parte di questi sussidi già nella prossima legge di Bilancio, per fare cassa e ridurre il ricorso al finanziamento col debito pubblico delle misure di spesa previste. Non escludo quindi che qualcosa ci possa essere già nella proposta del Governo o negli emendamenti parlamentari. Dato il basso livello di priorità politica, non mi aspetto né grandi numeri né rilevanti indirizzi green da queste riallocazioni».

Se questi 16,2 miliardi di euro annui fossero impiegati per favorire la sostenibilità anziché contrastarla, a spese dei contribuenti italiani, potrebbero tramutarsi in un’importante leva di sviluppo: a suo parere quali sarebbero le misure più urgenti da finanziare?

«Una parte importante di questi sussidi penso che dovrebbe rimanere nell’agricoltura, con diversa destinazione. Per attuare l’Accordo di Parigi per il clima serve un forte rilancio delle rinnovabili per elettricità, per i trasporti e termiche, e robusti interventi per il risparmio e l’efficienza energetica, in particolare nei consumi civili e nei servizi. Per praticare questa svolta servirebbe l’istituzione di un consistente Fondo nazionale per finanziare la transizione energetica, alimentato con la riallocazione di una parte dei sussidi negativi per l’ambiente e anche con una carbon tax. Abbiamo calcolato che per ogni euro di finanziamento pubblico alle misure di attuazione del Piano energia clima se ne attivano altri tre di investimento privato, con effetti di aumento stimato di circa 900 mila unità di lavoro cumulate nei prossimi 5 anni».