Sovranità alimentare, turismo e sostenibilità: viaggio nella Tunisia a caccia di futuro

Cospe al lavoro sul territorio con il progetto Fad, per rafforzamento della filiera della pesca d’acqua dolce

Jamel ha deciso di tornare in Tunisia dopo lunghi periodi vissuti all’estero, fra Belgio e Stati Uniti, portando con sé un ricco bagaglio nell’arte dell’accoglienza e della ristorazione. Rientrato in patria, come in molti dopo la rivoluzione del 2010-2011, vorrebbe vedere ora la sua terra riappropriarsi della sua identità: ha iniziato proponendo un’offerta turistica diversa ed originale che valorizza l’arte culinaria regionale e la genuinità dei sapori locali. Così ha aperto “Boire et manger – Club des immigrés” un luogo affascinante in mezzo alle sughere di Ain Drahem che offre ristoro ai visitatori incuriositi durante la scoperta dei boschi della regione, o a chi si sofferma di passaggio lungo la frontiera algerina.

Quest’esperienza ci racconta molto della nuova tendenza del Paese: tentare di convertire il turismo balneare promosso dal regime di Ben Ali, a partire dagli anni ‘80, in un turismo diverso che si addentra nelle regioni interne, più attento e più interessato ad altri tipi di attrazioni quali la ricchezza naturale del territorio e la sua biodiversità, la cultura locale e i suoi prodotti tipici. Tra questi, il pesce d’acqua dolce, alla cui rivalorizzazione ambisce il progetto Cospe “Fad, rafforzamento della filiera della pesca d’acqua dolce in Tunisia”.

Sebbene autoctono, il buri (cefalo, ndr) non rientra nel patrimonio culinario tradizionale, poiché introdotto nei bacini idrografici che sono stati creati artificialmente dall’amministrazione tunisina dalla fine degli anni ‘80 per fornire acqua all’agricoltura e soddisfare il bisogno d’approvvigionamento per il sud saheliano sempre più soggetto a siccità estrema. Gli abitanti delle regioni interne del nord-ovest tunisino da sempre preferiscono consumare il pesce di mare, ritenendo quello di acqua dolce di bassa qualità e non conoscendone le ottime proprietà nutrizionali. Inoltre, perdono ovviamente la possibilità di variare la dieta, creare nuovi piatti, assaggiare nuovi sapori.

È con Abidi, cuoco della scuola di pesca di Tabarka, che alcuni operatori di progetto vanno nei mercati, nei villaggi, alle fiere paesane, a presentare tecniche di trasformazione del pesce d’acqua dolce. per dimostrarne la semplicità e farne degustare il sapore inedito, spiegandone le proprietà nutritive e indicando ricette appetitose, dalla carpa marinata sottaceto che macerando perde le lische, alla sandra affumicata. Molto spesso le persone si avvicinano con diffidenza e vanno via increduli: un boccone di carpa che sembra branzino, saporitissime polpette di cefalo che vanno a ruba fra i bambini e ancora filetti di siluro affumicati da far invidia al miglior salmone.

Anche da questo può ripartire la valorizzazione del Nordovest tunisino e delle regioni di Jendouba, Kef e Beja dove Cospe lavora. Si tratta di un territorio tanto ricco quanto poco conosciuto, anche ai tunisini stessi. Fino a qualche anno fa era meta di turismo principalmente nordeuropeo legato alla caccia al cinghiale, e solo di recente con la crisi economica e politica che ha colpito l’area mediterranea si scopre un’attrattiva per il turismo regionale, algerino e libico. La regione è particolarmente bella, ricca di parchi naturali di mellifere e di una folta macchia mediterranea, pur restando ad oggi poco nota a vantaggio del solo turismo costiero per il quale la Tunisia è divenuta famosa. In particolare la regione possiede il parco naturale El Feija, dal 2008 in lista per esser nominato patrimonio mondiale dell’Unesco e già riserva naturale della specie in via d’estinzione cervo berbero o cervo dell’Atlante.

Il progetto “Fad, rafforzamento della filiera della pesca d’acqua dolce in Tunisia” cerca di intervenire formando giovani interessati al mestiere di guida naturalista e accompagnandone il riconoscimento formale. Sosteniamo la riscoperta della ricchezza di territori, fino ad oggi percorsi senza la consapevolezza della necessaria azione di tutela e salvaguardia, sulla quale Khalil, Wathik e Rania – per citare alcuni fra i 15 ragazzi in corso di formazione – si sono invece oggi attivati. Il progetto lavora inoltre con molte donne della zona nella creazione di una filiera agroalimentare corta, che avvicina le produttrici alle consumatrici. Noura, Hannan e Jamila sono tutte donne che si impegnano in una produzione agroecologica, impiegando pesticidi naturali come la purea d’ortica e gli olii essenziali, e ricercano spazi comuni per la produzione e la commercializzazione dei loro prodotti cercando un’alternativa al mercato dell’agro-industria.

Le attività  di progetto si intrecciano con quelle dell’associazione locale Biokef, costituita da giovani agronomi dell’università di Kef, anche presidio Slowfood in Tunisia, con la quale, fra le altre, si sta articolando un processo di gruppi di acquisto solidali locali (Gas).

Con persone come Abidi, Khalil, Wathik e Rania, a piccoli passi e con un paziente lavoro di intreccio di attività, dalla pesca all’agroecologia passando per lo sviluppo dell’ecoturismo, si lavora per un grande obiettivo comune: la sovranità alimentare.

di Grazia Vulcano – Cospe onlus Tunisia per greenreport.it