V-Start, parte dalla Toscana il progetto europeo in difesa delle vittime dei crimini d’odio

Una ricerca di Cospe mette in luce debolezze e buone pratiche del sistema italiano per il sostegno alle vittime di un reato sempre più diffuso e ancora poco riconosciuto

I crimini d’odio (hate crimes) sono reati penalmente rilevanti commessi sulla base di pregiudizio e intolleranza. L’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) li definisce come “reati nei quali la vittima viene colpita in ragione della sua identità di gruppo (come la “razza”, l’origine nazionale, la religione o altra caratteristica di gruppo)”. I crimini d’odio, che si tratti di violenza fisica o psicologica, che siano rivolti contro persone, proprietà o simboli, sono realtà sempre più quotidiane in tutta l’Unione Europea e fonte di allarme sociale nelle comunità colpite. In molti paesi UE, le politiche volte a contrastare i reati d’odio si concentrano maggiormente sull’arresto dell’autore e meno sulla protezione della vittima, anche a causa della limitata comprensione del carattere specifico di tali crimini e delle loro conseguenze per i gruppi vulnerabili.

«Mi sembra che ci sia un clima d’odio alimentato anche da una certa politica che può facilmente sfociare nella commissione di reati, però una peculiarità all’interno dei crimini d’odio, soprattutto nei confronti delle persone omosessuali, è quella che non esiste nessuna legge che li sanziona – argomenta al proposito un rappresentante di Rete Lenford – Avvocatura per i diritti Lgbti – Manca la percezione della gravità della cosa, quindi bisognerebbe lavorare in questo senso perché le persone devono sentirsi destinatari di diritti».

Le vittime dei crimini di odio, razzisti e omofobici, sono molte di più (e sempre di più) di quanto non si pensi comunemente. Eppure sono difficili da individuare e anche da difendere: l’under reporting (mancata denuncia o segnalazione) in questo ambito è molto diffuso e sono percentualmente molto poche le vittime che si riconoscono come tali e che passano alla denuncia. Inoltre, strutture attrezzate a dare loro ascolto e assistenza sono molto poche e non del tutto in linea con la Direttiva europea del 2012. La ricerca condotta nel merito da Cospe ne conta 38 in tutta Italia, ma quasi nessuna di queste si configura come centro specializzato nel trattamento di questo tipo di vittime.

Il progetto europeo “V-Start – Sensibilizzazione e lavoro di rete per le vittime dei crimini d’odio”, ha permesso per la prima volta in Italia la realizzazione di una mappatura di questi centri e la raccolta dei dati esistenti in questo ambito. Realizzato da Cospe in Italia con il cofinanziamento della Regione Toscana, il progetto coinvolge altri 3 paesi europei (Croazia, Austria, Germania) e altrettanti partner europei, ed è co-finanziato dal Programma Justice dell’Unione Europea (2014-2020) ed è incentrato sulla protezione delle vittime dei crimini razzisti e omofobici. 

Il quadro legislativo italiano sui crimini d’odio

La norma più rilevante che attualmente regola in Italia i meccanismi di tutela delle vittime dei reati è il Decreto legislativo 15.12.2015 n. 212, con cui è stata data attuazione alla Direttiva 2012/29/UE del 25/11/2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. L’aspetto principale del Decreto è che introduce per lo più modifiche di tipo procedimentale, trascurando però la ‘filosofia’ della Direttiva che chiede un’attenzione complessiva verso la vittima e un approccio incentrato sui diritti, sull’assistenza e la protezione.

Ad oggi in Italia, dal punto di vista del diritto penale, non esiste una normativa organica relativa ai crimini d’odio né tale categoria di reati è prevista come tale dall’ordinamento giuridico. L’unica legge che faccia riferimento a questa particolare tipologia di crimini è la Legge Mancino n.205/1993, nella quale sono enunciate le circostanze aggravanti che ricorrono “per reati […] commessi con finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso”. Il codice penale italiano non prevede invece i reati di omofobia e transfobia.  

I dati e le fonti

La raccolta dati sui crimini e sui discorsi d’odio in Italia può contare su una molteplicità di fonti, sia pubbliche che private ma purtroppo non esiste una raccolta sistematica, coordinata e con definizioni univoche e condivise. Questo pone un problema di frammentarietà dei dati, che vengono rilevati con diverse metodologie e classificati in vario modo, rendendo difficile dare un quadro chiaro e completo della situazione.

A livello nazionale le principali istituzioni che si occupano di monitorare le segnalazioni di crimini d’odio sono l’Unar (Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali), l’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), il ministero della Giustizia e la Sdi, ossia la banca dati del sistema di indagine della Polizia giudiziaria. Oltre a queste, si aggiungono ricerche e report di associazioni come Lunaria, Associazione 21 luglio, Gay Help Line, e Argigay: le principali organizzazioni che monitorano le richieste di aiuto e sostegno e denuncia di episodi razzisti e/o omofobi e che contano migliaia di segnalazioni.  Tra le fonti internazionali invece le principali sono l’Odihr (Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce) e la Fra (Agenzia europea per i diritti fondamentali).

Il sistema italiano di supporto alle vittime e mappatura delle strutture esistenti

In Italia il sistema di supporto alle vittime dei reati è caratterizzato da un panorama diffuso ma frammentato: il concetto di “sostegno alla vittima” è relativamente nuovo e attualmente risulta inserito in un sistema di intervento tipico del sistema assistenziale italiano, fornito soprattutto dalle organizzazioni della società civile e strutturato in centri di supporto alle vittime connotati storicamente da spirito volontaristico.

I servizi identificati sono per la maggior parte ‘generalisti’, ovvero si occupano di tutte le vittime, senza avere però un’esperienza specifica su questa tipologia di crimini. In totale la mappatura comprende 38 servizi di assistenza, la maggioranza dei quali viene fornita dal settore privato (90%). Dal punto di vista della collocazione territoriale la maggior parte dei servizi generalisti si trova al centro (47,37 %) e al nord (39,47), mentre il sud risulta più coperto da centri che si occupano di vittime di criminalità organizzata, usura e racket (13,16).

Per quanto riguarda i servizi offerti, 33 dei centri mappati offrono assistenza psicologica (diretta o indiretta), con percorsi di vario tipo e a vari livelli, la quasi totalità dei centri identificati prevedono assistenza legale(in gran parte indiretta), mentre è limitato il numero di servizi (4 su 38) che sono strutturati per offrire assistenza di tipo sanitario. Solo 15 associazioni hanno il numero verde per le emergenze mentre 20 hanno sportelli al pubblico e 6 sportelli dedicati ai diversi tipi di violazioni).

Infine un aspetto importante riguarda il lavoro in rete e la cooperazione con altri soggetti: ben 29 delle realtà mappate sono inserite in reti nazionali e/o internazionali, evidenziando così come il lavoro di rete sia determinante perché permette la creazione di connessioni e sinergie tra le varie risorse sul territorio e tra diversi territori.

Nella scelta delle organizzazioni da mappare sono stati quindi volutamente esclusi tutti i servizi non generalisti che si occupano di altre categorie specifiche (come le donne vittime di violenza, le vittime di mafia, ecc.) mentre sono stati identificati alcuni tra i principali servizi di assistenza per le vittime LGBTI, che attualmente sono gli unici che offrono supporto a una categoria specifica di vittime di crimini d’odio.

Quello che tutti gli operatori e gli esperti ritengono sia uno dei principali punti di forza dei centri di supporto per le vittime dei reati è la capacità di dare ascolto e sicurezza. In un modello in cui l’ascolto gioca un ruolo fondamentale, assume particolare importanza offrire un servizio di mediazione linguistica e culturale per i cittadini stranieri e le minoranze.

L’ambito in cui tutti i servizi generalisti intervistati infatti ammettono di dover lavorare ancora molto è quello dell’informazione diretta rivolta ai migranti, richiedenti asilo, rifugiati e minoranze.

Le tematiche che ricorrono più frequentemente nelle raccomandazioni di professionisti e esperti riguardano in particolare la formazione di tutti gli attori (dagli operatori dei servizi e delle organizzazioni della società civile agli avvocati, ai giudici ecc.), la sistematizzazione e l’ampliamento della normativa, le campagne di sensibilizzazione e l’educazione, il lavoro di rete.

L’under-reporting rimane uno dei problemi più rilevanti ed è legato in primo luogo alla scarsa conoscenza di questo tipo di crimini e al loro mancato riconoscimento da parte delle vittime.

di Cospe per greenreport.it 

Per maggiori informazioni: vstart.eu  e cospe.org