[05/10/2007] Consumo

L´ex segreto dei Boscimani e la direzione della ricerca

LIVORNO. La guerra dei boscimani contro le multinazionali – di cui si parla oggi sul Corriere della Sera – mostra in tutta la sua drammaticità una delle grandi contraddizioni e piaghe sociali del nostro tempo. O forse semplicemente ci ricorda che in gran parte del mondo la sostenibilità sociale, come quella ambientale, è ancora un miraggio. Perché semplificando fino all’osso la questione c’è un mondo che ha bisogno di pillole per dimagrire perché mangia troppo, e uno che muore di fame e non ha alcun mezzo per difendersi e cambiare il proprio destino. Così appunto accade che in Sudafrica i boscimani da secoli conoscano i benefici di una pianta che si chiama hoodia e che “taglia la fame”. La tradizione di questo sfortunato popolo ha insegnato loro che con una sola foglia di hoodia – dicono – si può non avere né fame né sete per una settimana.

Un segreto rimasto tale per secoli e secoli fino a quando una multinazionale anglo-olandese – stimolata e orientata nella ricerca vedremo da chi e da quale fenomeno – ha scoperto la pianta, ne ha isolato il principio attivo, lo ha ribattezzato e brevettato. Ricadute per i boscimani che quel segreto lo custodivano gelosamente? Nessuno o quasi. Anche perché non hanno praticamente neanche più terra dove potenzialmente coltivarla questa pianta, visto che è stata sottratta ai loro avi tanti anni fa. Tolto il brevetto, ai boscimani non è rimasta che la “proprietà intellettuale”, un risarcimento che, in termini economici, ha fruttato ben poco. E ottenuto comunque dopo due anni di battaglie legali. La disputa nasce infatti nel 2001 e ora è stata portata all’attenzione generale grazie a film The Bushman’s Secret di Rehad Desai, regista sudafricano.

Quella vittoria legale venne festeggiata a lungo, oggi però si guardano i risultati e sono eloquenti: i boscimani, privati delle loro terre espropriate dai bianchi, non hanno più diritti neanche sulle piante e «a loro non resta che la proprietà intellettuale», perché appunto «quella materiale è delle case farmaceutiche».
Una triste storia di un popolo senza pace e giustizia, ma che allude anche a molto altro. A mettere in questa situazione i boscimani è stata in parte paradossalmente la ricerca. La ricerca tutt’altro che neutra. La ricerca orientata dai bisogni (desideri) dei ricchi, ovvero ritrovare la “linea perduta” a causa del troppo mangiare e di uno stile di vita super size. Inseguendo modelli di bellezza vuoti, effimeri e solamente legati all’apparenza. Su quella pianta che permetteva ai boscimani di sopravvivere nel deserto una multinazionale ha impiegato fior di ricercatori per studiarla, estrarne il principio attivo e fabbricarci un bel farmaco il cui uso ora è “caldeggiato” persino dalle “Casalinghe disperate” della serie tv.

E che certamente sarà famoso tra le modelle anoressiche che solo da poco tempo, dopo averle celebrate per anni, cominciano a non essere più modello di perfezione per i pubblicitari. Ma lo sono ancora per molte teenager. Un ulteriore esempio che la ricerca si muove solo se è orientata dal mercato. E che senza una riconversione ecologica dell’economia quindi e un riorientamento conseguente della ricerca, ben difficilmente su questo pianeta ci sarà sostenibilità ambientale e sociale.

Torna all'archivio