[22/09/2009] News

Al via a New York la settimana cruciale per il clima e Copenhagen. Le prime parole di Obama

LIVORNO. Ieri il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha dato il via alla biblioteca pubblica di New York alla Settimana del clima (Climate Week NY°C), la prima di una serie di riunioni sui cambiamenti climatici che dovrebbero dare la spinta definitiva verso il summit mondiale di Copenhagen a dicembre. «Abbiamo bisogno delle vostre voci - ha detto Ban ai partecipanti - che devono essere intese da tutti i nostri leader ed i nostri negoziatori. Spero che ragioneranno quando alla First Avenue (la sede  dell'Onu, ndr), domani (oggi per chi legge, ndr) organizzo il più grande summit sul cambiamento climatico della storia».

Ban Ki-moon ha spiegato che l'obiettivo del summit «E' quello di permettere ai leader di mobilitare lo slancio politico che permetterà di accelerare il ritmo dei negoziati e di rafforzare l'ambizione delle proposte. Un accordo sul clima non farà solo salvaguardare l'ambiente. Permetterà anche di orientare in maniera fondamentale il nostro mondo sulla traiettoria di un'economia più verde».

Hanno accettato l'invito di Ban Ki-moon più di 100 capi di Stato e di governo del mondo, in occasione del summit parlerà, per la prima volta all'Assemblea generale dell'Onu, un presidente della Repubblica popolare della Cina e rappresenterà il debutto all'Onu anche per il presidente americano Barack Obama e del nuovo primo ministro giapponese Hatoyama. 

E proprio il presidente americano Barack Obama ha detto a New York che la minaccia è «grave, urgente e crescente: se non agiremo rischiamo di consegnare alle future generazioni una catastrofe irreversibile». Obama ha detto inoltre che gli Stati Uniti hanno «fatto più negli ultimi otto mesi per promuovere la energia pulita e ridurre l'inquinamento da anidride carbonica che in qualsiasi altro periodo della nostra storia».

Il presidente ha poi aggiunto che «Il tempo rimasto per correre ai ripari sta per scadere» e che «La sicurezza e la stabilità di tutte le nazioni e di tutti i popoli - la nostra prosperità, la nostra salute e la nostra sicurezza - sono a rischio» a causa della minaccia climatica. Infine ha invitato Paesi emergenti coma la Cina e l'India «a fare la loro parte» per affrontare il riscaldamento del pianeta adottando «misure vigorose», spiegando che gli Stati Uniti «comprendono la gravità della minaccia climatica e sono determinati ad agire. Assolveranno la loro responsabilità verso le future generazioni».

Il summit di New York, anche se non è una sessione negoziale della road map verso Copenhagen, sarà una tappa fondamentale per arrivare ad un accordo sul post-Kyoto, non a caso partecipano anche  il presidente dell'Ipcc Rajendra Pachauri e l'altro premio Nobel "ambientale" Mangari Maathai.

La Conferenza di alto livello sarà ad impatto zero: l'Onu compenserà le sue emissioni di CO2 acquistando crediti di emissioni del Clean development mechanism che produrranno investimenti per riforestazione ed energie rinnovabili nella regione semiarida di Kolar, nello Stato indiano del Karnataka. Il summit di New York sta diventando anche un elemento della campagna elettorale in Gran Bretagna, dove laburisti e Conservatori fanno a gara tra chi è più verde.

Il primo ministro britannico Gordon Brown ha promesso agli ambientalisti riuniti vicino al Parlamento che farà tutto il possibile per arrivare ad un accordo mondiale sul clima a Copenhagen  e si è detto preoccupato «per l'incapacità di pervenire ad un accordo su qualcosa che è di importanza vitale per l'avvenire del pianeta. So che i fenomeni provati dagli scienziati sull'aumento delle temperature avverranno se non prendiamo delle iniziative e so che l'impegno per i 2 gradi non è sufficiente».

Per Brown a Copenhagen bisogna fissare  obiettivi immediate: «Dobbiamo avere degli obiettivi obbligatori e sicuramente dobbiamo mettere in campo un accordo finanziario che permetta anche ai Paesi in via di sviluppo di partecipare».

In un'intervista al magazine Usa  Newsweek, Brown ha detto che l'incapacità di concludere un accordo a Copenhagen sarebbe imperdonabile ed ha chiesto agli altri leader del pianeta di partecipare al summit. In un'intervista rilasciata all'agenzia ufficiale cinese Xinhua, Cheick Sidi Diarra, il consigliere speciale per l'Africa di Ban Ki-moon, ha detto che «Il summit del 22 settembre darà uno slancio politico agli sforzi sviluppati per la conclusione di un accordo nel corso della Conferenza di Copenhagen, prevista a dicembre in Danimarca. E' un evento con un effetto politico molto importante. Il summit punta a mobilitare la volontà politica e ad attrarre l'attenzione dei decisori su nuovi problemi, ad iniziare da cambiamento climatico. Crisi alimentare e crisi finanziaria ed economica.

Ma al summit Onu arrivano anche importanti critiche come quella del G77, che raggruppa I Paesi in via di sviluppo, che lo accusano di scarsa aperture. Infatti, non tutti i membri dell'Onu saranno autorizzati ad intervenire e solo un numero limitato di Capi di Stato e di governo è stato invitato a partecipare alla colazione di lavoro con personalità del mondo degli affari, della società civile e capi delle Agenzie Onu.

Diarra, spiega che «I Paesi meno avanzati, i piccoli Stati insulari e l'Africa rappresentano circa i due terzi del G77, e i loro rappresentanti presenteranno le loro posizioni oralmente».

Il consigliere speciale di Ban Ki-moon ha anche il compito di difendere gli interessi dei Paesi più vulnerabili del mondo, tra i quali 49 Paesi in via di sviluppo privi di sbocco al mare, 37 piccoli Stati insulari e l'Africa, e si è detto molto preoccupato perché il cambiamento climatico colpirà direttamente proprio questi Paesi.

Diarra ha portato l'esempio del suo Paese, il Mali, che è al centosessantanovesimo posto (su 177 Paesi presi in considerazione) nella classifica Undp dello sviluppo umano: «Il Mali è svantaggiato nella competizione a causa della mancanza di accesso al mare, benché sia il secondo produttore di cotone in Africa dopo l'Egitto. Inoltre, il 70% della popolazione maliana è impiegata nell'agricoltura che è praticabile sul 40% della superficie del Paese. Tutti questi fattori rendono il Mali molto vulnerabile al cambiamento climatico».

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