[25/09/2009] News

I confini ambientali superati dell’Antropocene: cambiamento climatico, biodiversità e ciclo dell’azoto-fosforo

LIVORNO. Il numero di Nature in edicola dà grande rilievo, dedicandogli l'editoriale ed uno speciale intitolato  "A safe operating space for humanity", ad uno studio che evidenzia come i limiti di tre sistemi vitali per il pianeta e l'umanità (tasso di perdita della biodiversità, cambiamento climatico e influenza sul ciclo dell'azoto) siano già stati superati. Secondo l'articolo scritto da un gruppo internazionale di scienziati capitanato da Johan, dello Stockholm Resilience Centre Saremmo ormai alla rottura degli equilibri creatisi nel corso dell'Olocene e dei suoi cambiamenti ambientali avvenuti naturalmente che hanno determinato una capacità di regolazione del pianeta terra che ha permesso le condizioni per favorire lo sviluppo umano: temperature regolari, acqua dolce disponibile e flussi biochimici adeguati sono rimasti costantemente all'interno di una "forchetta" di sicurezza per l'uomo e gli altri esseri viventi.

Ma oggi, soprattutto a causa del ricorso crescente ai combustibili fossili ed alla rivoluzione industriale e all'industrializzazione dell'agricoltura, le attività antropiche hanno raggiunto un livello, un limite, che comincia a danneggiare ed intaccare il livello di sostenibilità che l'Olocene ha elargito alla nostra specie. Nature definisce lo studio «Un tentativo di quantificare i limiti di carico dell'umanità sul nostro pianeta», destinato ad aprire un importante dibattito.

In effetti, lo studio definisce  i processi biofisici che determinano la capacità di autoregolamentazione della terra. «Il quadro presentato - spiega Nature - è un tentativo di guardare in modo olistico a come l'umanità stia stressando l'intero sistema Terra». I ricercatori evidenziano i limiti ed i dati numerici invalicabili per sette parametri planetari: cambiamento climatico, buco dell'ozono, acidificazione degli oceani, biodiversità, uso dell'acqua dolce, cicli dell' azoto e del fosforo, cambiamento di uso dei terreni e sostengono che, per evitare catastrofici mutamenti ambientali, l'umanità deve rimanere all'interno di tutti questi limiti fisici e vitali.

Confini e dati che già la scienza conosceva, diranno in molti, ma la novità brutale dello studio è che per alcuni processi, come i cambiamenti climatici di origine antropica e la modifica umana del ciclo dell'azoto, abbiamo già attraversato la linea rossa del confine e bisogna fare marcia indietro il più velocemente possibile, mentre per altri parametri vitali di Gaia, come l'acidificazione degli oceani, ci stiamo rapidamente avvicinando ad soglia che potrebbe innescare modifiche drammatiche e non lineari nell'equilibrio. La stessa Nature sembra spaventata da quanto pubblica con così grande rilievo, tanto che precisa: «Questa esercitazione richiede diversi chiarimenti. Per la maggior parte, i valori esatti scelti come confini da Rockström e dai suoi colleghi sono arbitrari. Così come, in alcuni casi, lo sono gli indicatori di cambiamento. Ci sono ancora scarse prove scientifiche che suggeriscono che la stabilizzazione a lungo termine della concentrazione di biossido di carbonio a 350 parti per milione sia il target giusto per evitare pericolose interferenze con il sistema climatico. Concentrarsi sulle concentrazioni atmosfere a lungo termine di gas serra è forse una distrazione non necessaria per o il molto più immediato obiettivo di mantenere il riscaldamento al di sopra di 2 gradi dei livelli pre-industriali. Non c'è nemmeno consenso sulla necessità di portare il cap species extinctions a 10 volte il suo attuale background rate, come viene consigliato. Inoltre i limiti non sono sempre applicati a globalmente, anche per processi che regolano l'intero pianeta. In ultima analisi, circostanze locali possono determinare, come nel caso della carenza di acqua o di perdita della biodiversità, il raggiungimento della soglia critica».

Ma le perplessità di Nature, che evidenziano come la nostra sopravvivenza sia a rischio anche per altri motivi, che occorre riequilibrare lo studio con le questioni etiche ed economiche o che l'uomo ha senz'altro conseguenze dannose nel ciclo dell'azoto, ma che il suo utilizzo intensivo alimenta anche gran parte dell'umanità attraverso l'agricoltura... alla fine fanno i conti con un quadro certo preliminare ma che «è un tentativo lodevole, di quantificare i limiti della nostra esistenza sulla Terra, e fornisce una buona base di discussione e di futuri miglioramenti». Per facilitare la discussione, Nature pubblica insieme allo studio e sette commenti da esperti, liberamente accessibili su Nature Reports Climate Change (http://tinyurl.com/planetboundaries). Lo studio evidenzia: la necessità di un  nuovo approccio per la definizione delle condizioni per lo sviluppo umano; un incrocio di determinati limiti biofisici che potrebbe avere conseguenze disastrose per l'umanità; tre dei nove confini planetari interconnessi sono già stati oltrepassati «Questi confini - dice Rockström  - definiscono lo spazio di manovra sicuro per l'umanità, per quanto riguarda il sistema Terra, e sono associati ai sottosistemi o ai processi biofisici del pianeta. Anche se i sistemi complessi della Terra a volte rispondono correttamente alle mutevoli pressioni, sembra che questo si rivelerà l'eccezione piuttosto che la regola. Molti sottosistemi della Terra reagiscono in maniera non lineare, spesso improvvisa, e sono particolarmente sensibili intorno ai livelli di soglia di alcune variabili chiave. Se in queste soglie poi si incrociano sottosistemi importanti, come ad esempio il sistema del monsone, potrebbero  spesso assumere n un nuovo aspetto, con conseguenze nocive e potenzialmente disastrose per l'umanità».

Ecco i tre processi del sistema Terra che sono già andati oltre i confini definiti nello studio:

Cambiamenti climatici. Il limite proposto si basa su due parametri: la concentrazione atmosferica di CO2 e di forcing radiativo (il tasso di variazione di energia per unità di superficie del globo, misurata nella parte superiore dell'atmosfera). La CO2 in atmosfera non dovrebbe superare le 350 ppm e il forcing radiativo non dovrebbe superare 1 watt per metro quadrato sopra ai livelli pre-industriali. «Trasgredire questi confini aumenterà il rischio di cambiamenti climatici irreversibili, come ad esempio la perdita delle calotte di ghiaccio più importanti, un'accelerata crescita del livello del mare e cambiamenti improvvisi nelle foreste e dei sistemi agricoli». Siamo già oltre la soglia: la concentrazione di CO2 attualmente è pari al 387 ppm e la variazione del forcing radiativo è di 1,5 W m2.

Tasso di perdita di biodiversità. Se l'estinzione delle specie è un processo naturale, che avverrebbe anche senza l'intervento dell'uomo, la perdita di biodiversità nell'Antropocene che stiamo vivendo  l'ha accelerata in maniera drammatica: le specie sono in estinzione a un tasso che non si conosceva dall'ultima estinzione globale. «Il dati fossili - spiga lo studio - dimostrano che il tasso di estinzione base per la vita marina è di 0,1-1 estinzioni di specie per milione all'anno, per i mammiferi è 0,2 - 0,5 per milione di estinzioni di specie all'anno. Oggi, il tasso di estinzione delle specie è stimato da 100 a 1000 volte più di quello che potrebbe essere considerato naturale». La causa principale sono le attività umane e la più impattante è il cambiamento  d'uso dei suoli, con la conversione degli ecosistemi naturali in agricoltura o in aree urbane, poi vengono l'incremento della frequenza e vastità degli incendi e l'introduzione di specie aliene. Ma il nuovo driver dell'estinzione è il cambiamento climatico, che porterà ad importanti cambiamenti nella biodiversità  ed ad un aumento del ritmo dio scomparsa delle specie viventi, in particolare almeno il 30% di  mammiferi, uccelli e anfibi saranno estinti o a grave rischio di estinzione entro la fine del secolo.

La perdita di biodiversità interagisce con molti dei confini planetari, a livello locale e regionale, ma può avere effetti pervasivi sul funzionamento del sistema terra: la perdita di biodiversità può aumentare la vulnerabilità degli ecosistemi terrestri ed acquatici ai cambiamenti climatici e l'acidità dell'oceano, riducendo così i livelli di sicurezza di confine di questi processi.

Ciclo dell'azoto e del fosforo. L'agricoltura è una delle principali fonti dell'inquinamento ambientale, in particolare a causa dell'uso su vasta scala di azoto e fosforo. «A livello planetario - scrive Rockström  - gli apporti supplementari di azoto e fosforo attivati dagli esseri umani sono così grandi che turbano in maniera significativa i cicli globali di questi due importanti elementi». 

Sono soprattutto i fertilizzanti utilizzati per produrre cibo e la coltivazione delle leguminose a convertire ogni anno circa 120 milioni di tonnellate di N2 dall'atmosfera in forme reattive, che è più di quanto facciano tutti gli effetti combinati di tutti i processi naturali del pianeta. «Gran parte di questo nuovo azoto reattivo finisce nell'ambiente, inquinando corsi d'acqua e le zone costiere, si deposita nel sistemi di terra e si aggiunge ad un certo numero di gas nell'atmosfera. Questo erode lentamente la resilienza di importanti sottosistemi-terra. Il protossido di azoto, per esempio, è uno dei più importanti gas a effetto serra con la CO2 e quindi aumenta direttamente forcing radiativo».

La distorsione antropogenica del ciclo dell'azoto e dei flussi di fosforo sta cambiando lo stato di laghi, fiumi e paludi , ma anche di ecosistemi marini, come dimostrano le anossie nel Mar Baltico causate da nutrienti. L'articolo di Nature definisce il limite di immissione di N2 dall'atmosfera come la "valvola di un gigante'' che controlla un massiccio flusso di nuovo zoto reattivo nella terra. Il problema è che questa valvola dovrebbe risscire a contenere azoto reattivo al 25% del suo valore attuale, circa 35 milioni di tonnellate di azoto all'anno. Una cosa prativ camente impossibile da fare con le attuali conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Il fosforo, un minerale fossile che si accumula in seguito a processi geologici, si estrae dalle rocce ed è utilizzato in una vasta gamma di prodotti, dai fertilizzanti ai dentifrici. Ogni anno se ne estraggono circa 20 milioni di tonnellate e tra gli 8,5 e i 9.5 milioni di queste finiscono negli oceani: un tasso di immissione che sarebbe di circa 8 volte all'afflusso naturale. Anche il fosforo ha pesanti conseguenze sul mare e potenzialmente il suo accumulo potrebbe innescare possibili estinzioni di massa  di specie marine.

I limiti proposti dallo studio suggeriscono «Che se ci sarà un aumento di 10 volte superiore al livello di fosforo che scorre negli oceani (rispetto ai livelli pre-industriali), gli eventi anossici nell'oceano diventeranno più probabili entro 1.000 anni». Secondo i dati scientifici disponibili, per stare sicuri dovrebbero finire in mare non più di 11 milioni di tonnellate di fosforo l'anno.

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