[12/10/2009] News

Pechino è in coma di Ma Jian

Greenreport racconta spesso della Cina, del suo misto di povertà e ricchezza, di comunismo e turbo capitalismo, di dittatura e corruzione, di distruzione dell'ambiente e "società armoniosa", ma "Pechino è in coma", scritto dal dissidente cinese Ma Jan, in esilio all'estero dopo che i suoi libri sono stati messi al bando, ci racconta di come la Cina è diventata la grande potenza emergente che è, di come è riuscita a farsi spazio nel mondo, passando dal terribile puritanesimo del fanatismo della rivoluzione culturale all'arricchitevi di Deng Xiaoping.

Il vero punto di svolta, o meglio il punto in cui la possibile svolta verso la democrazia viene bloccata, il prima ed il dopo, ce lo racconta dal suo letto di consunzione Dai Wei, in coma dal giorno in cui il regime comunista schiacciò nel sangue la protesta dei giovani cinesi in Piazza Tienanmen.

Questo ragazzo che diventa uomo ridotto a un "vegetale" ripercorre la storia della Cina post-rivoluzionaria attraverso la storia della sua famiglia, di suo padre musicista e dissidente "destroide" suo malgrado, che vive gli orrori dei gulag cinesi di cui in occidente sappiamo ben poco e tutte le assurde, feroci e cannibalesche vendette e repressioni della Guardie Rosse, di sua madre cantante lirica con la carriera spezzata ma fedele al partito fino alla cecità, che solo all'ultimo si ribella alla macchina di repressione e consenso della dittatura rifugiandosi in un'innocua follia e in pratiche religiose nelle quali non crede davvero.

Attraverso il corpo inerte e la mente galoppante di Dai Wei ripercorriamo tutto intero il dramma dimenticato di piazza Tienanmen, le ingenuità politiche, gli amori, i desideri di una generazione che si è immolata per nulla, che è stata massacrata e sepolta sotto una coltre di silenzio, paura ed ignoranza perché la Cina diventasse quello che è oggi: un dragone industrioso che ha sotterrato nella dimenticanza la strage dei suoi figli migliori.

Pechino è in coma perché, come Dai Wei, ha l'encefalogramma piatto, perché la morte di Mao, la fine della Rivoluzione culturale, il passaggio al capitalismo-socialista, non sono state vere svolte ma scarti di adeguamento di una dittatura eterna, dell'eterno autoritarismo, che tutto cambia perché tutto resti uguale, con l'unico obiettivo di perpetuare prima l'impero tirannico e poi il partito, l'avanguardia del Popolo e dei lavoratori trasformatosi nel divoratore dei suoi figli e delle loro speranze.

Pechino è in coma, dice MaJan, ma la sua speranza è che la Cina immobile e velocissima dei nostri giorni riesca a pensare, riesca a ripercorrere la pagine sanguinanti della sua storia, a chiudere il libro immaginario che ha segnato la vita del suo eroe paralizzato da un colpo alla nuca, per risvegliarsi quando la brutale ed eterna ricostruzione sulle macerie della storia aprirà un'altra finestra per la possibile esplosione di una rivolta democratica, che tragga insegnamento dagli errori e dalle ingenuità inevitabili, dagli stupidi protagonismi degli splendidi ragazzi di piazza Tienanmen, nemmeno loro liberi dai meccanismi mentali inoculati ogni giorno dalla macchina del consenso di regime.

Dal suo coma l'immaginario ex capo della sicurezza degli studenti di piazza Tienanmen ci rivela il brutale meccanismo fatto di paura, consenso, corruzione e manipolazione delle coscienze attraverso "l'informazione", del conformismo ciecamente fiducioso che alla fine sta alla base di ogni dittatura, di ogni regime, di ogni macchina di consenso, non necessariamente a partito unico, come ci insegnano la storia e la cronaca.

La macchina spietata che Deng Xiaoping mette in moto per massacrare gli studenti non serve a battere politicamente le loro ingenue speranze, il loro confuso procedere in un'occupazione che ci viene spiegata in tutte le sue clamorose e sconosciute contraddizioni, serve a schiacciare sotto i cingoli la bellezza della speranza, a dire che il dissenso è impossibile, che c'è ci comanda e chi ubbidisce, che in Cina non ci saranno muri abbattuti, rivoluzioni non violente, che in Cina il "Partito" è qualcosa di più degli esperimenti che stanno clamorosamente fallendo in quegli anni nell'Europa orientale ed in Unione Sovietica: non è la speranza sbocciata con la Grande Marcia che ha portato 60 anni fa l'esercito maoista a Pechino, è l'eterno volto dell'immutabile tirannia che ora cambia, si adatta e decide, proprio inzuppando gli scarponi chiodati ed i cingoli dell'esercito del Popolo nel sangue di ragazzi che hanno appena scoperto il sesso e l'amore in un Paese bigotto e sessuofobo, che la Cina dovrà diventare quel che è oggi. Che il libretto rosso verrà sostituito dalle televisioni e dai supermercati, l'internazionalismo proletario sarà sostituito dalla globalizzazione delle multinazionali, ma tutto resterà nelle mani di chi comanda sotto la bandiera rossa con le cinque stelle.

In quel massacro, in quello sperpero feroce di speranze e giovani vite, nasce il "miracolo cinese", quello è il segnale che il cambiamento potrà essere solo economico e riguarderà la casta che governa la Cina che invece di distribuire solo ideologia ossificata lascerà piluccare al popolo anche le briciole del nuovo benessere.

Non a caso "Pechino è in coma" finisce, a 10 anni dalla strage, con la distruzione della vecchia Pechino per far posto alla città olimpica ed alla sua enorme speculazione edilizia. Finisce con un ragazzo in coma che aspetta da solo, mentre le ruspe divorano passato e ricordi, che un passero malato lo liberi dal suo lucido coma.

Chissà se quel passero riuscirà mai a liberare la Cina dai suoi ricordi crudeli per restituire a cinesi il loro passato, tutto intero, senza finzioni e propaganda, senza cose non dette e che non si possono dire?

Torna all'archivio