[12/10/2009] News toscana

Eletrodotti, bene comune e... coperte corte

FIRENZE. Verrà un tempo in cui non ci sarà più bisogno di elettrodotti aerei, e tutto potrà passare sottoterra. Anzi, verrà forse un tempo in cui proprio il concetto di "elettrodotto" sarà superato, e l'energia elettrica sarà trasferita tramiteq l'etere.

Ma, per ora, entrambe le ipotesi sono peregrine: il costo attuale della realizzazione di una linea sotterranea, rispetto ad una aerea, è 10 volte maggiore (stime Terna), e anche per intervenire in caso di guasti o manutenzione i tempi e le risorse necessarie sono, è ovvio, molto maggiori. Stiamo parlando naturalmente del solo costo economico, che naturalmente non comprende cioè la quantificazione del "costo" in termini di deturpazione del paesaggio associato ad una linea aerea, ma le carte sul tavolo, allo stato attuale della tecnologia, sono queste.

Eppure, diventano sempre più diffusi, nelle cronache, i casi in cui la sollevazione da parte di una comunità riesce a ottenere l'interramento totale o parziale delle linee di trasferimento. A questo riguardo, citiamo per la Toscana i casi di Tavarnuzze (dove, peraltro, ieri il Tar ha respinto il ricorso di alcuni cittadini contro gli espropri effettuati nel borgo di Riboia, dando ragione così a Terna che spinge, nell'ambito della più generale questione del nuovo elettrodotto Casellina-Tavarnuzze-santa Barbara, per attraversare la zona del borgo con linea aerea) e della periferia di Lucca, dove le comunità delle frazioni di Mutigliano e S.Alessio stanno coagulando in una mobilitazione organizzata la loro decennale opposizione alla costruzione di una linea ad alta tensione.

«Sappiamo che l'energia serve e non ci opponiamo al progetto, che ha ottenuto tutte le autorizzazioni», sostengono i cittadini del Lucchese: ma, proseguono, «tralicci come questi non si potranno mai integrare con l'ambiente circostante: sono veri e propri mostri». E, anche se il discorso è riconducibile alla sindrome Nimby già nella sua formulazione ("fateli, ma non qui" è infatti il meta-messaggio), e anche se non si tratta di un intervento ex-novo ma dell'ammodernamento di una linea già presente, essi hanno in buona parte ragione, dal loro punto di vista.

Ma, allo stesso modo, hanno ragione (dal loro punto di vista) i cittadini di Tavarnuzze, che si vedono deturpata una valletta che riveste per loro un valore storico, culturale, ambientale. E dal loro punto di vista hanno ragione i cittadini dei 32 comuni che in Friuli, nelle previsioni, saranno attraversate dal nuovo elettrodotto Redipuglia-Udine. E in prospettiva avrà ragione chiunque, in futuro, chiederà di proteggere il borgo, il prato, il parco, la chiesa dietro casa: e, anche se il valore paesaggistico di un'area non è quantificabile oggettivamente, comunque sappiamo che se per una comunità un'area ha un significato che fa sì che detta area sia "un luogo" e non solo "uno spazio", ecco che quell'area diventa, per la comunità stessa, di valore irrinunciabile.

Hanno ragione tutti, quindi, ma ha ragione anche chi inserisce in questo contesto la locuzione "risorse disponibili" e chi parla di "coperta corta" riguardo ad esse: se giorno dopo giorno sta crescendo la consapevolezza territoriale da parte delle comunità, e se questo fenomeno ha caratteri fortemente positivi ma anche spiccate criticità in direzione del localismo egoistico, allora che futuro ci aspetta? È da attendersi che d'ora in poi ogni metro di elettrodotto dovrà essere interrato, con questi costi? Sarebbe insostenibile economicamente. E' pensabile allora che le proteste della comunità saranno sedate in ogni modo, magari con la cavalleria e i carabinieri coi pennacchi e con le armi? Sarebbe insostenibile socialmente.

Il problema non è da poco, insomma, e men che meno sarà da poco in futuro. Non serve allora una scrollata di spalle ispirata ad un cieco "decisionismo", ma non servono nemmeno interventi in extremis e trattative puntuali, come finora è avvenuto in questi casi. Occorre, questa è l'unica cosa certa in mezzo a tanti dubbi per ora senza risposta, una politica che riesca ad elaborare un nuovo punto di equilibrio, che non può essere quello vigente in passato ("il bene di tutti prevale sul bene singolo: via con l'esproprio"), ma che non può essere nemmeno quello che inneggia al "non facciamo niente". E in questo nuovo punto di equilibrio deve avere sicuramente un ruolo anche la moderna sensibilità ispirata alla partecipazione civica e amministrativa all'assestamento territoriale. Ma questa è l'unica cosa certa, o meglio solo l'unico incerto approdo in un mare sempre più agitato di dubbi.

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