[19/10/2009] News

Chi ha paura delle commodities? (e delle materie prime seconde?)

GROSSETO. Una delle cinque ombre che incombono sull'economia globale è dovuta all'andamento dei prezzi delle materie prime, l'oro, il petrolio ma anche tutte le altre, scrive oggi Fabrizio Galimberti sul Sole 24 ore indagando sulle «pene che più affliggono chi sia pensoso dei destini dell'economia».

L'andamento dei prezzi delle commodities è in effetti uno di problemi dei mercati finanziari e di chi è particolarmente impegnato a fare affari in questa branca dell'economia. Ma non è certo materia di secondaria importanza anche per chi con le materie prime sviluppa l'altra parte dell'economia più legata ai sistemi reali: la trasformazione di queste materie prime in prodotti.

E, come abbiamo visto in questi due anni di crisi economica globale, il problema dei prezzi delle materie prime si ripercuote anche alla fine del ciclo metabolico dell'economia, ovvero nel settore che si occupa della valorizzazione dei materiali provenienti dai rifiuti, dove l'aumento dei prezzi delle materie prime ha creato cedimenti nel mercato delle materie seconde.

Guardando agli andamenti dei prezzi di queste materie si può osservare il paradosso che a fronte di una recessione che ancora fa registrare cali di produzione significativi (al saldo di qualche debole ripresa) i prezzi delle commodities aumentano, producendo ad ora un disaccoppiamento tra finanza ed economia che è ben altra cosa dell'obiettivo di ottenere il necessario disaccoppiamento tra lo sviluppo economico e l'utilizzo delle risorse così da raggiungere standard di sostenibilità.

Quindi la crisi ha mostrato in maniera inequivocabile il nesso che esiste tra flussi di materia e di energia e l'economia, ma ancora si è lontani dal cogliere la necessità di intervenire su questi driver per orientare in chiave ecologica l'economia, così da poter mettere le basi per uno sviluppo durevole ed equo per le intere popolazioni che abitano il pianeta.
Ovvero salvaguardare il capitale su cui l'intera economia si regge.

Qualche segnale, a guardar bene, si intravede anche se la green economy è ancora vista più come un driver utile per uscire dalla crisi piuttosto che come lente paradigmatica per leggere un nuovo modello economico.
Così in Giappone, ad esempio, hanno iniziato a raccogliere i rifiuti provenienti da prodotti tecnologici dismessi e riutilizzare i materiali che li compongono «perché le scorte di rame finiranno in trent'anni- dice il capo del colosso Panasonic Fumio Ohtsubo - lo stesso accadrà al piombo e l'argento sparirà in quindici anni».

In realtà già dal 1998 esiste in Giappone una tassa a carico dei produttori per la gestione dei rifiuti hi-tech, ma solo recentemente c'è stata una accelerazione in tal senso. Così come anche in Europa esiste già dal 2003 una direttiva in tal senso ma che non sta dando i risultati attesi, tanto che ne è già prevista la revisione per aumentare i livelli di recupero.

«Insomma - prosegue Ohtsubo - se continuiamo di questo passo i consumi diverranno insostenibili. Dobbiamo imparare a usare le risorse in maniera più razionale».
A parte il fatto che i consumi sono già insostenibili e lo sono sia in termini di prodotti usati nei paesi ricchi (che consumano fino a 10 volte di più risorse naturali rispetto a quelle dei paesi più poveri) con un continuo e conseguente aumento di rifiuti, che di materie prime. Con un trend di estrazione che, se rimarranno le attuali tendenze di crescita, potrebbe arrivare a 100 miliardi di tonnellate di risorse naturali sottratte al pianeta entro il 2030.

Quindi il tema della necessità di ridurre il prelievo e il consumo di materie prime comincia a diventare un problema su cui si interroga anche la filiera produttiva, anche se da qui a dire che si è compreso l'importanza di lavorare su flussi di materia e di energia per evitare di spezzare il ramo su cui si è seduti, il cammino è però ancora lungo.

Così come c'è tanta strada da fare perché diventi un agire automatico il fatto di considerare una opportunità l'utilizzo di materiali derivati dai rifiuti della produzione o dal post-consumo per sostituire laddove è possibile le materie prime, ottenendo il doppio vantaggio di far diminuire le quantità da smaltire nel primo caso e quelle da togliere ai sistemi naturali nel secondo.

E' evidente che ciò non potrà essere possibile in assoluto e che con il solo fatto di utilizzare materie seconde al posto di quelle vergini non potrà essere giustificabile qualsiasi tipo d'intervento.
Il fatto, ad esempio, che l'assessore ai trasporti della Toscana, Riccardo Conti, abbia dichiarato la volontà di riutilizzare i rifiuti delle acciaierie Lucchini di Piombino per il sottofondo stradale per il nuovo tracciato autostradale tirrenico e la plastica proveniente dai materiali post consumo trattata dalla Revet per fare pannelli fonoassorbenti, non fa diventare automaticamente buono il progetto (che nei fatti non lo è) ma dimostra, senza dubbio, una cresciuta attenzione alla necessità di riutilizzare ciò che proviene dai fluissi metabolici dell'economia.

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