[20/10/2009] News

Dalla Russia al Mali, al passo del Turchino: l'ingegneria climatica tra deliri futuristi e nuove tecnologie

FIRENZE. «Il tuo canal Grande allargato e scavato, diventerà fatalmente un gran porto mercantile. Treni e tramvai lanciati per le grandi vie costruite sui canali finalmente colmati vi porteranno cataste di mercanzie, tra una folla sagace, ricca e affaccendata di industriali e di commercianti».

Questo celeberrimo spezzone del Manifesto futurista "Contro Venezia passatista" (1910) appare il miglior modo di introdurre e legare tra loro alcune notizie che oggi giungono da varie parti del globo. Partiamo dal Mali, dove il locale servizio meteorologico sta portando avanti da tre anni un progetto di inseminazione artificiale delle nubi, con il fine di ovviare alla sempre maggiore imprevedibilità meteorologica associata al cambiamento climatico e ad una riduzione delle piogge che dagli anni '70 - riporta l'agenzia Irin - ha raggiunto il 20%. Nello stato subsahariano sono stati compiuti finora 332 voli di inseminazione, per un costo che al 2010 sarà di circa 32,5 milioni di dollari.

Progetto analogo ma "inverso", come riporta oggi Repubblica, sarà intrapreso dalla municipalità di Mosca, dove il sindaco Luzhkov sta portando avanti il già annunciato piano per bombardare le nubi sopra i comuni adiacenti alla città con sostanze inseminanti (il "classico" ioduro d'argento, usato fin dalla metà del secolo scorso, ma anche azoto liquido e polvere di cemento), al fine di far cadere le precipitazioni nevose fuori dei confini della capitale. Il costo stimato per l'iniziativa (180 milioni di rubli, circa 6 milioni di $) sembra molto minore delle spese annuali per la pulizia delle strade dalla neve, cioè 300 milioni di rubli equivalenti a 10 milioni di $. E' intuibile come, se la notizia ha ricevuto sia consensi sia polemiche nell'ambito della comunità moscovita, i paesi del circondario siano invece sull'orlo della rivolta, in previsione dei gravi disagi aggiuntivi dati dalle maggiori quantità di precipitazione nevosa che cadrebbero sul loro territorio.

Entrambi i progetti, però, risentono di due difetti di non poco conto. Anzitutto le sostanze usate non possono essere considerate dei semplici, innocui, addensatori di nubi: sia il cloruro di sodio usato in Mali, sia le sostanze destinate al cielo delle periferie di Mosca, hanno un potenziale effetto negativo nei suoli in cui si accumulano: per lo stato africano, ha dichiarato il coordinatore del progetto all'agenzia Irin, il sale da cucina utilizzato «non ha creato danni agli ultimi due raccolti». Ma è piuttosto intuibile come, a lungo termine, l'accumulo di cloruro è destinato senza ombra di dubbio a danneggiare la struttura chimico-fisica delle terre e dei fiumi "bombardati" dalla nuova pioggia. Per quanto riguarda Mosca, invece, è in dubbio la capacità del terreno di resistere all'inverno russo senza essere protetto dalla copertura nevosa che solitamente si pone sul suolo per almeno 5-6 mesi l'anno: e questo potrà portare a gravi problemi di dissesto idrogeologico, non solo per le aree aperte e rurali ma anche per il suolo su cui poggiano le fondamenta di edifici e strutture. E il problema è destinato, almeno se il riscaldamento globale proseguirà, ad aggravarsi in futuro.

In generale, comunque, il problema va al di là dell'utilizzo di sostanze additive estranee alla natura chimico-fisica dei suoli: è proprio il clima ad essere una macchina non ancora compresa nei suoi meccanismi intimi, soprattutto per quanto riguarda le relazioni di causa ed effetto tra azioni separate nel tempo. Ed è per questo che "grandi progetti climatici" come quelli citati per Bamako e Mosca sono fortemente criticabili, allo stato attuale delle conoscenze e delle tecnologie. Basti pensare, a questo riguardo, al progetto visionario proposto qualche anno fa per contrastare il problema della nebbia in val Padana: già nel 1978, infatti, alla trasmissione "Portobello", fu un autista di tram milanese a proporre di spianare completamente il passo del Turchino (m 580, tra Liguria e Piemonte), al fine di «aprire una porta» per la circolazione d'aria, come si cambia l'aria in una stanza aprendo una porta (cioè spianando il passo, trasferendo 4000 persone, all'epoca) se dall'altra parte è già aperta una finestra (che nel "piano Turchino" è la pianura tra Trieste e Rimini).

Il punto è che, probabilmente, il progetto avrebbe anche potuto funzionare, dal punto di vista dell'eliminazione delle nebbie padane: ma, al di là del "piccolo" problema legato allo spianare un'intera collina e dislocare gli abitanti (oggi peraltro aumentati), nessun climatologo degno di questo nome potrebbe (né allora né oggi) prevedere con certezza l'evoluzione successiva del clima, e le possibili conseguenze dannose, soprattutto a lungo termine.

Ecco quindi che i progetti di Mosca e di Bamako scontano un altro difetto fondamentale, che si aggiunge a quelli esposti: e cioè il fatto che per ottenere un (presunto) beneficio immediato si apre la porta a sconosciute conseguenze climatiche a lungo termine, che peraltro non sono destinate ad agire necessariamente sulle zone dove questo beneficio immediato è atteso o sperato.

Poi, è chiaro, la tecnologia è destinata ad evolversi, così come sono destinate ad evolversi le conoscenze sul funzionamento della macchina climatica. Non è da escludersi, cioè, che un giorno davvero la società umana sarà in grado di attuare progetti di macro-ingegneria climatica avendo la certezza di non ottenere più criticità che svantaggi. E va detto anche, in riferimento al progetto-Turchino, che è un atteggiamento in parte irresponsabile quello di accogliere con una risata ogni proposta apparentemente fuori dalle possibilità tecnologiche del momento: questo perché, altrimenti, progetti come i canali di Panama e Suez, o come l'esplorazione della luna, non avrebbero mai superato la fase di dibattito iniziale, e mai sarebbero giunti a compimento.

La visione Marinettiana citata in apertura, insomma (al di là del fatto che era intesa dagli stessi autori come provocazione), è sì un folle piano futurista, ma contiene in sé anche quella fiducia positivista nella tecnologia che indubbiamente ha avuto un ruolo nel progresso scientifico e sociale, oltre che nella definizione dei prodromi di quel mondo odierno improntato all'insostenibilità che oggi speriamo possa evolversi verso nuovi modelli di sviluppo.

Bando ai deliri futuristi, ma bando anche ad una gratuita ostilità verso la tecnologia, quindi: ma questo, se può valere per altri ambiti di analisi, non può valere allo stesso modo per quanto attiene alla scienza del clima, una disciplina troppo giovane (diversamente dalla sua "cugina", la meteorologia, che ha tradizione ben più antica) per poter effettivamente darci le certezze di cui abbiamo bisogno davanti alle conseguenze a lungo termine di progetti sia su piccola scala - come nel caso di Mosca- sia di dimensioni più ampie quali i piani in corso a Mali, quello per il Turchino, o in generale per quegli interventi di macro-geo-ingegneria che negli ultimi anni (es. il piano Crutzen per rilasciare zolfo nei cieli del pianeta) si sono affacciati nel dibattito globale.

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