[26/10/2009] News

Ma tra Ecomondo e il mondo esterno c'è di mezzo un mare (di rifiuti)

LIVORNO. La green economy approda ad Ecomondo e in effetti non potrebbe avere cornice migliore di quella per potersi esprimere. La fiera dedicata al recupero di materia ed energia per puntare allo sviluppo sostenibile che si svolgerà dal 28 al 31 ottobre prossimi, e che da ormai diversi anni va in coppia con Key energy, apre infatti quest'anno senza indugi proprio con il green new deal quale motore per far ripartire la crisi mondiale.

Ma dal dire al fare c'è di mezzo il mare, dice un vecchio adagio e così per la green economy: dall'averla assunta come perno di una nuova economia capace di scacciare il vecchio modello ormai logoro all'agire di conseguenza, di strada da fare ce n'è ancora molta. E non bastano gli esempi positivi - che pur esistono e che ogni anno fanno sfoggio a Ecomondo e che fanno quasi illudere che la svolta sia dietro l'angolo - a poter dire che la green economy è già realtà.

Neanche gli ottimi dati che può presentare il Conai, che sarà sponsor del convegno, sono sufficienti a dimostrare che sul fronte del riciclo degli imballaggi la partita è a buon punto: come dimostra il Consorzio nazionale imballaggi che in 10 anni di attività è stato creato un indotto di 3 miliardi di euro, sono stati tagliati 48,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica, creati 77mila posti di lavoro e ridotti i costi di smaltimento in discarica, e che solo nel corso del 2008 è stato raccolto in modo differenziato il 59% di materiali (anche se nei comunicati stampa ufficiali viene utilizzato erroneamente il termine "riciclato", alimentando la confusione). Quindi non solo la percentuale di materiale recuperato è ben più bassa di quel 59% raccolto, ma ancora gran parte di quei materiali poi effettivamente recuperati difficilmente trova uno sbocco di mercato.

Come sappiamo che parlare di imballaggi, seppur un settore importante nella filiera del riciclo e recupero dei materiali, è ancora una goccia nel mare magnum dei rifiuti prodotti nel nostro paese e sui quali i capitoli aperti sono ancora molti. Gli imballaggi sono un sottoinsieme dei rifiuti urbani che a loro volta sono una parte minima dell'intera partita dei rifiuti prodotti in questo paese. E quando andiamo ad indagare sulla fetta assai più ampia degli speciali (da tre a quattro volte le quantità dei rifiuti urbani) ci scontriamo con una realtà che è assai lontana da un modello di green economy.

A partire da una loro corretta contabilizzazione, alla piena conoscenza dei circuiti in cui si muovono, dalla carenza di impianti per il loro trattamento sino a scontrarci sui difficili, e per ora non sempre virtuosi, casi di riutilizzo. Lo scrive oggi anche Affari e finanza anticipando il rapporto sull'Italia del recupero, che nella sua decima edizione verrà presentato a Ecomondo, quando parlando della situazione del riciclo e del recupero nel nostro paese e paragonandolo al fatto che negli Usa, vuoi per la crisi, vuoi per le politiche dell'amministrazione Obama, sarebbe diventato trendy, sottolinea che «sappiamo che in Italia non è così».

«L'attenzione - scrive Pietro Veronese - c'è, l'interesse pure, un numero crescente di imprenditori, soprattutto piccoli, soprattutto giovani, investe nel settore del riciclo o comunque fa di tutto per introdurre il criterio del recupero e del riutilizzo nel ciclo delle loro produzioni. Ma non è certo questo il modello dominante, il progetto virtuoso che viene additato all'economia o ala costume collettivo nazionale».

In effetti nel cahier de doleances presentato dal presidente della Pmi, Giuseppe Morandini, al Forum della piccola industria dei giorni sorsi, tra le tante questioni che vengono elencate come zavorra che impedisce di far decollare la piccola impresa e metterla al riparo dalla crisi, non v'è traccia della richiesta di misure che potrebbero, ad esempio, rendere il settore del riciclo e del recupero di materiali maggiormente appetibile dalle imprese e sul quale avviare nuove attività, riconvertire processi, dare vita a nuovi prodotti.

Coniugando la caratteristica capacità creativa e innovativa che spesso proprio della piccola e media impresa è stata carattere distintivo e che in questo settore potrebbe trovare nuova materia per fare impresa. Quello che si legge, tra le tante, è un richiamo generale ad una stessa quota di incentivi di cui godono i concorrenti europei, ma nessuna indicazione su quali assi concentrarli.

E' evidente che non basta l'interesse, la buona volontà e il coraggio da parte delle imprese per investire nel settore del riciclo e del recupero dei rifiuti, condizioni necessarie certo ma non sufficienti se non supportate da politiche congrue e incentivi mirati a sostenerle.

Cosa che invece manca- se si eccettuano i pochi e sporadici interventi fatti in tal senso- da parte della politica di governo. Intermittente, confusa e di certo non efficace: basta pensare alla continua rimodulazione del quadro normativo che già basta di per sé a scoraggiare anche i più intrepidi imprenditori e mette in continua difficoltà chi opera nel settore.

O al fatto che mentre si sostengono a parole e negli intenti attività e campagne che vanno nella direzione della riduzione dei rifiuti al tempo stesso le politiche che si intraprendono hanno come obiettivo finale quello di far riprendere i consumi per far ripartire l'economia.

E questi sono solo alcuni dei nodi che riguardano il settore dei rifiuti e che non sono di meno anche in quello che attiene all'energia, che ci portano a credere che la green economy sia ancora da mettere nel capitolo dei desiderata e che, se non si scioglieranno, si corre fortemente il rischio di "sprecare la crisi" per dirla con le parole del presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, che sarà tra i protagonisti del convegno di apertura di Ecomondo. Nodi che certamente non potranno essere sciolti a Ecomondo ma dove sarà almeno possibile metterli al centro della discussione. E non è poco.

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