[29/10/2009] News

La Corte di giustizia Ue condanna l'Italia per inefficienza dei controlli sul divieto di reti da posta derivanti

FIRENZE. Questa volta a rimanere nella "rete" è stata l'Italia. Il nostro Paese è stato condannato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee in merito al sistema di controlli sul divieto di reti da posta derivanti, ritenuto inefficacie o addirittura assente. In base al regolamento comunitario n.2847/93 gli Stati membri devono garantire la conservazione e la gestione delle risorse in materia di pesca e quindi conseguentemente la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile. Il regolamento impone agli Stati membri di "garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo ovvero l'impiego di reti da posta derivanti (cd: "spadare") di lunghezza superiore a 2,5 km, e a decorrere dal 1° gennaio 2002, la detenzione a bordo o l'utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie".

A fronte di denunce pervenute e successive ispezioni che la stessa Commissione ha effettuato negli anni, rilevando numerose inadempienze delle autorità italiane di controllo nel rispetto della normativa comunitaria, già nel 2005 la Commissione contestava all'Italia molte carenze in uomini, mezzi e perfino nella normativa inerente questi specifici controlli, tanto da pensare che in realtà di controllare nessuno ne avesse intenzione.  In definitiva i tre punti cardine su cui poi e stata imperniata la sentenza odierna di condanna riguardano: l'inefficienza dei controlli «nel periodo oggetto del presente procedimento (1993-2005 ndr), la sorveglianza e il controllo delle attività di pesca non erano efficacemente garantiti dalle autorità italiane e pertanto l'addebito relativo all'inefficienza delle autorità italiane nell'esercizio e nella pianificazione dei loro compiti di sorveglianza e di controllo è fondato». Il secondi punto riguarda l'insufficienza della normativa italiana circa la repressione. In merito a questo aspetto la Commissione fa notare che la legge italiana 101/2008 preveda sanzioni in caso di detenzione a bordo di reti di tal genere. Tuttavia, tale legge è stata emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e resta priva di effetti sulla valutazione della sussistenza dell'inadempimento contestato nella causa in oggetto. Prima della modifica 2008, n. 101, la legge 963/1965, non puniva la semplice detenzione a bordo di dette reti. L'ultimo punto riguarda l'insufficienza delle denunce delle violazioni e l'esiguità delle sanzioni.

Anche in base ai dati comunicati dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto secondo la Commissione «la Repubblica italiana non ha avviato azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime». La sentenza prova come per almeno lunghi dodici anni, non ci sia stata attenzione alle politiche di tutela delle comunità biologiche e del mare in cui vivono, ed emerge una netta sottovalutazione di questo tipo di reati che hanno a che fare con l'ambiente ma con sicuri risvolti economici e sociali a danno di chi ha operato onestamente. Ora la Repubblica italiana è condannata alle spese.

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