[29/10/2009] News

Programma Gmes: l'Ue verso una leadership spaziale in campo scientifico-ambientale?

FIRENZE. Sta entrando in fase operativa il progetto europeo Gmes (Global monitoring for environment and security), ideato nel 2005 e finalizzato, secondo un comunicato di ieri, allo sviluppo di «una capacity europea indipendente di osservazione della terra dallo spazio (finalizzata a) fornire servizi in campo ambientale e della sicurezza». L'attività dell'Agenzia spaziale europea (Esa) e del sistema Eumetsat saranno quindi implementate da ulteriori apporti logistici ed economici da parte dell'Ue, in modo da «garantire una dimensione globale» ai progetti spaziali europei.

La maggiore e più capillare capacità di osservazione spaziale cui l'Europa punta è finalizzata, al di là di ambiti di matrice geo-politica su cui ritorneremo poi, ad un migliore monitoraggio in direzione del contrasto/adattamento al global warming e della "sicurezza" delle popolazioni (concetto peraltro piuttosto ambiguo, che può sottendere possibili applicazioni militari, oltre che quelle di polizia internazionale e protezione civile).

Comunque, per ora, saranno gli aspetti scientifici quelli su cui si concentreranno le attenzioni e le risorse dell'Ue: secondo il vicepresidente della Commissione, e commissario ai Trasporti e all'Impresa, Günter Verheugen, «Gmes è essenziale per comprendere il cambiamento climatico, supportare le missioni Ue per le emergenze e migliorare la sicurezza dei cittadini. Ulteriori passi sono ora necessari per far sì che l'investimento messo in campo sia ripagato, e che Gmes diventi pienamente operativa in un modo il più possibile consapevole dei costi».

Costi (o meglio investimenti) che non saranno decisamente di poco conto: i fondi, che derivano da risorse Esa e da quelle stanziate nel 7° Framework programme for research and technological development (2007-2013) dell'Unione europea, ammontano finora a circa 2,2 miliardi di euro, e altri 4 miliardi di € saranno stanziati per il proseguo della missione nel periodo dal 2014 al 2020.

Finora (già nel 2008) sono state messe in campo quattro operazioni preliminari, che hanno «già dimostrato la loro utilità per l'Ue e la comunità internazionale, in particolare nell'affrontare alcuni disastri, come i terremoti e le alluvioni in Asia sud-orientale e i roghi boschivi in Europa, in maniera efficiente e veloce». La vera fase operativa inizierà comunque nel 2011.

Sono previste 12 missioni spaziali, finalizzate alla creazione di 6 "sentinelle", come vengono definiti i sistemi di osservazione composti da più satelliti. La prima, nelle previsioni, sarà lanciata nel 2012, e sarà prevalentemente dedicata all'analisi di uso del suolo e meteorologica, soprattutto per quanto riguarda le condizioni estreme. Seguirà (2013) una sentinella dedicata all'osservazione dell'uso del suolo e a dati utili «per la risposta alle emergenze e per la sicurezza», ed nello stesso anno sarà lanciata una sentinella atta al monitoraggio dei colori della terra e dell'oceano (cioè ancora all'uso del suolo e in generale alla salute degli oceani) e del livello del mare.

Quest'ultimo ambito di analisi, fondamentale per gestire la probabile crescita degli oceani indotta dal surriscaldamento (sia per lo scioglimento delle calotte, sia per l'espansione termica delle acque), sarà centrale anche nella missione Jason-Cs, la cui data di partenza operativa è ancora da definirsi. Infine, nel 2017 e 2019 è previsto il lancio di due missioni finalizzate a rifornire la navicella Eumetsat di una migliore strumentazione per l'analisi atmosferica.

La notizia è da osservarsi da un duplice punto di vista: da una parte, l'Unione europea investe risorse enormi (peraltro, in buona parte finalizzate all'ambito Ricerca&sviluppo della missione: dal 2014, 430 milioni di € all'anno saranno destinati a finalità operative, e 170 andranno al settore R&d) verso la possibilità di rendere più determinante il suo contributo al percorso globale in direzione di una migliore conoscenza e capacità di monitoraggio riguardo al cambiamento climatico. Percorso che, come noto, è finora sostanzialmente monopolizzato da Stati Uniti (soprattutto) e Giappone.

A questa constatazione va però aggiunto il fatto che, com'è ovvio, la missione rappresenta un ulteriore passo verso una vera "democrazia spaziale", cioè verso la fine dell'egemonia americana nello spazio, egemonia che dopo la fine della guerra fredda è stata pressoché indisturbata, e che solo in anni recenti, con lo sviluppo massivo del programma spaziale giapponese (oltre a quelli "emergenti", come quelli cinese e indiano), comincia a scricchiolare. E questo secondo aspetto non deve illusoriamente essere considerato solo come una buona notizia: lo è da una parte, e allo stato presente, ma potrà non esserlo in prospettiva futura perché, ragionando in termini di realpolitik, potrebbe anche rappresentare un passo verso una reale competizione tra Stati Uniti ed Europa per il dominio dello spazio.

E, se questa competizione fosse solo confinata in ambito scientifico, non si potrebbe che gioire. Ma così, come è ovvio, potrebbe anche non essere: molto dipenderà da come l'Ue vorrà, in seguito allo sviluppo dell'ambito scientifico del progetto Gmes, e di quello della gestione delle emergenze, definire l'effettivo significato dell'ambito relativo alla "sicurezza".

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