[02/11/2009] News

Barcellona, ultimo round prima di Copenhagen

LIVORNO. Iniziano oggi a Barcellona gli ultimi Climate change talks previsti dalla road map di Bali per arrivare, fra soli 35 giorni, alla Conferenza di Copenhagen. Fino al 6 novembre 4 delegati di 180 Paesi cercheranno di sbrogliare i nodi di due anni di negoziati attraverso la seconda parte della settima sessione dell' Ad Hoc Working Group on Long-term Cooperative Action under the Convention (Awg-Lca) e della seconda parte della nona sessione dell'Ad Hoc Working Group on Further Commitments for Annex I Parties under the Kyoto Protocol (Awg-Kp).

Queste sessioni costituiscono una parte dei negoziati in corso dell'Unfccc sul Protocollo di Kyoto per rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta al cambiamento climatico.

Il ministro spagnolo al Cambio Climático, Teresa Ribera, é convinta che «La sessione di Barcellona sarà la chiave per entrare nella fase finale dei negoziati e chiudere le questioni tecniche, con il fine che i Paesi raggiungano un'intesa comune su tutte le proposte che sono sul tavolo del negoziato di  Copenhagen».

I Paesi sviluppati ed emergenti arrivano a Barcellona dopo il recente Consiglio europeo che ha rilanciato (pur con diverse contraddizioni e debolezze) la leadership dell'Unione europea sul clima e dopo la riunione del riservatissimo ma influente Greenland Dialogue che si é tenuto dal 29 al 31ottobre organizzato proprio dalla Danimarca, prossimo presidente ed ospite della Cop 15  per capire quali siano i veri orientamenti (e le possibili convergenze e divergenze) tra i Paesi che a Copenhagen faranno la differenza e potranno determinare un successo (che si annuncia comunque parziale) o un fallimento della conferenza dell'Unfccc.

Il vero problema davanti ai delegati di Barcellona è come e dove trovare le decine di miliardi di dollari all'anno necessari per combattere il global warming e le sue conseguenze di farlo tenendo conto di proposte divergenti che dividono tra "ricchi" e "poveri" le 192 nazioni che aderiscono all'Unfccc. Ma i 5 giorni di Barcellona dimostrano che il tempo per discutere sta davvero finendo e intanto cresce lo scetticismo sulla reale possibilità di approvare uno degli accordi più difficili e complessi della storia dell'umanità e che probabilmente determinerà il futuro ed il benessere della nostra specie e delle altre specie viventi nel pianeta.

La stessa cancelliera tedesca Angele Merkel, che pure si è spesa molto per rintuzzare gli eco-scettici anche all'interno dell'Ue, ha detto in chiusura del Consiglio europeo: «E' realistico affermare che a Copenaghen non saremo in grado di concludere un accordo, ma è importante stabilire un quadro politico che sarà la base del Trattato. Anche in questo quadro, i negoziati si trascineranno oltre se non otterremo un accordo».

Gli ambientalisti comunque non mollano: per Kim Carstensen, a capo dalla politica climatica del Wwf «E' fondamentale che continuiamo ad avere grandi ambizioni, per arrivare a qualcosa che possa essere considerato come "l'accordo di Copenhagen". Noi non appoggiamo nessuna opzione per rinviare tutto al 2010. Il pessimismo, a cascata, potrebbe contribuire al fallimento di Copenaghen».

Ma intanto è già (e nuovamente) guerra di numeri: l'Energy information administration Usa sottolinea che nel decennio dopo la firma del Protocollo di Kyoto (che gli Usa non hanno sottoscritto) le emissioni di gas serra statunitensi sono cresciute "solo" del 5,5%, mentre quelle dell'India sono cresciute del 47% e quelle della Cina praticamente raddoppiate: più 92%.

La speranza è che i 7,5 miliardi di dollari per i prossimi 3 anni messi sul tavolo negoziale di Copenhagen venerdì dall'Ue, che dovrebbero diventare globalmente tra i 100 ed i 150 miliardi di dollari entro il 2020, riescano a stanare gli americani ed i Paesi emergenti da un confronto che è diventato un pericolosissimo stallo. C'è da dire che gli ambientalisti e molti scienziati ritengono che il documento dell'Ue sia ancora troppo vago e con finanziamenti inadeguati perché non dice davvero quanto l'Europa possa contribuire al climate fund e che ha semplicemente chiamato a raccolta tutti i Paesi, salvo quelli poverissimi, per mettere i soldi necessari sul piatto, infatti l'Ue ha parlato di contribuire con una "quota equa" se gli altri faranno altrettanto.

Secondo Elise Ford, a capo dell'ufficio europeo di Oxfam International, si tratta di «Una prima offerta per la giustizia climatica che non é affatto sufficiente. Questo non è ancora un passo avanti per un accordo sul climal. Ma l'Ue ha dimostrato che ora si possono negoziare numeri reali».

Per il capo dell'Unfccc, Yvo de Boer «Il tempo è quasi esaurito. A Barcellona, tutte le nazioni devono fare un passo indietro dal proprio interesse e far prevalere l'interesse comune».

E' fiducioso il maltese Michael Zammit Cutajar a capo del Group negotiating commitments by all nations «Il problema é: siamo d'accordo sulle questioni fondamentali? I think we can» dice riprendendo lo slogan di Obama.

Per Bill Hare, del Potsdam institute for climate impact research c'é stato troppo ottimismo proprio sul fatto che il presidente Usa avrebbe  in un anno dato un nuovo slancio a negoziati sul clima ribaltando la politica Usa sul tema. Cosa avvenuta solo in maniera molto parziale

«E'un puzzle politicamente enorme per fare qualcosa C'è un grande rischio che si finisca con una dichiarazione tipo G8 che non ci porta da nessuna parte - spiega Mark Kenber, del think-tank britannico Climate Group - Il gruppo del club del G8 delle nazioni industrializzate normalmente rilascia dichiarazioni di principio non vincolanti dopo i loro summit».

Se questo fosse il risultativo di Copenhagen sarebbe un non risultato, bisognerà capire a Barcellona se il tranquillizzante e inefficace "modello G8" riuscirà a passare. Il rischio è sempre più forte.

Torna all'archivio