[06/11/2009] News

Società della conoscenza? In Italia nemmeno la banda (larga) suona il rock

GROSSETO. La banda larga dovrà aspettare che finisca la crisi. E' ufficiale il blocco degli 800 milioni che rappresentavano la prima tranche delle risorse necessarie a dare seguito al progetto da 1,4 miliardi messo a punto dal  viceministro alle comunicazioni Paolo Romani per rinnovare il sistema attraverso la diffusione della banda larga. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha deciso di usare quei fondi per altre misure considerate più strategiche che non sanare la rete «colpita da un fenomeno simile all'osteoporosi» come ha spiegato metaforicamente il consulente del ministero Francesco Caio, artefice del piano di ristrutturazione. Una rete, quindi, che perde in efficienza e prestazioni, assolutamente inadeguata a sostenere lo sviluppo di quella società della conoscenza che dovrebbe rappresentare la base su cui far correre innovazione e competitività: entrambi elementi dai più richiamati come essenziali per far crescere l'economia.

E le reazioni che si sono levate di fronte a questa decisione ne sono una testimonianza: imprese, sindacati, partiti, utenti, la voce è una sola e boccia la decisione come un «errore madornale».

Soprattutto in una fase di crisi, perché gli investimenti nella banda larga, sarebbero «una misura anticiclica» dice il presidente di Anie Guidalberto Guidi, quindi proprio tra quelle da mettere in atto per dare risposte alla crisi stessa, a maggior ragione se si pensa che uscire dalla crisi possa essere un'occasione da non sprecare per dare un volto nuovo all'economia e non ritenersi soddisfatti di riportare semplicemente il treno sugli stessi  binari.

«Ci possiamo consolare con posti di lavoro disponibili nella ristorazione, nella cura personale e nell'artigianato legato ai lavori domestici?» si chiede oggi Alberto Orioli nel suo editoriale sul Sole 24 Ore. La risposta è «chiaramente no. Il progresso - dice Orioli - passa dall'innovazione, l'innovazione dalla ricerca, la ricerca dai fondi per studiare e sperimentare».

Una strada obbligata anche se vi possono essere opinioni diverse su cosa considerare come progresso e su quali innovazioni puntare per raggiungerlo: confidare nell'innovazione come sola via per crescere, come ha titolato oggi Confindustria il seminario dedicato a questo tema, è assai discutibile. Perché bisognerebbe capire cosa e come cresce. Così come si può discutere di quali criteri scegliere per individuare le eccellenze alle quali destinare le poche risorse che il Governo mette a disposizione, come intende fare il ministro Mariastella Gelmini per il programma  nazionale  della ricerca 2009-2013.

«Per la definizione delle priorità - dice la Gelmini in un'intervista sul quotidiano economico - abbiamo voluto il massimo coinvolgimento degli altri ministeri, delle regioni, delle università, degli enti pubblici di ricerca, dell'industria e delle parti sociali» perché «la soluzione - dice ancora il ministro - non sono gli aiuti a pioggia bensì la collaborazione nella definizione di obiettivi più ambiziosi che rilancino l'innovazione come volano economico del paese».

Ma lo stop ai fondi alla banda larga per destinarli ad altre misure considerate più strategiche, la dice lunga su quali risultati abbia conseguito questo suo sforzo di concertazione. Così come l'elenco dei premi e delle menzioni speciali dati da Confindustria alle aziende che rappresentano l'eccellenza sull'innovazione nel nostro paese, tra cui anche la Dalmine, spiega più di tante parole il criterio con il quale si valuta questa innovazione.

Tolto qualche caso, che andrebbe approfondito, l'ambiente è la Cenerentola tra le imprese finaliste, a dimostrazione che ancora non è nemmeno a tema il fatto che sarebbe necessario orientare l'innovazione (anche attraverso incentivi e premi) per ridurre il peso che attualmente l'economia esercita sul capitale naturale che è poi l'unica strada percorribile per un progresso capace di futuro.

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