[09/11/2009] News toscana

Chi e che cosa porterà la Toscana fuori dalla crisi?

FIRENZE. Il Presidente della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa si chiede chi salverà le PMI dato che gli aiuti sono tutti rivolti alle grandi. Problema particolarmente sentito in Toscana per ovvie ragioni. Preoccupazione fondata e opportuna ma, posta solo così, appare in parte elusiva e poco efficace riducendosi a una serie di esortazioni allo sviluppo degli investimenti in Ricerca e Conoscenza, tutti necessari: difficile è capire chi li promuoverà e perché. Chi porterà la Toscana fuori dalla crisi?

Sarebbe utile una nuova consapevolezza dei problemi a partire dal fatto che la crisi del modello economico unico (subordinato al pensiero unico neoliberista), imposto al mondo in più di trent'anni di storia recente, ripropone due questioni al dibattito sociale ed economico sul modello Toscano. Prima, che esso era ed ancora è (sia pure indebolito dalle trasformazioni prima e dalle crisi poi) un modello sociale fondato sulla solidarietà e sulla cooperazione tra capitale e lavoro sul territorio e sulla collaborazione/interazione del lavoro; seconda, che con la fine del modello/pensiero unico stanno emergendo un complesso di vie sul piano geopolitico e su quello economico molto diverse, rispondenti a modelli sociali più o meno in declino o in crisi di crescita che travolgono istituzioni e vecchie regole.

Questa è un'occasione per la Toscana perché non ci sarà più per molto tempo una sola forma economica globale, così le società locali (nazionali o regionali) torneranno a riassumere il ruolo che spetta loro di orientamento dello sviluppo e quindi dei modelli economici e produttivi che, come il mercato, non sono il fine ma lo strumento per il raggiungimento di obiettivi di convivenza e di qualità della vita. Le vere differenze e le vere sfide sono tra modelli sociali che costituiscono molteplici valori: questa consapevolezza non è molto diffusa da noi ed è un male perché non consente di rendersi conto che per la Toscana non ci sarebbe partita se tutto si riducesse al modello economico e di mercato così com'è stato in questi ultimi trent'anni e passa.

Lo testimonia il fatto che nonostante le esortazioni di Claudio Martini (Nella foto), anche qui il PIL si è trasformato da indicatore (imperfetto e talvolta sbagliato) delle performances economiche (ma "depurate" dei  loro perversi effetti ambientali e sociali), addirittura in misura della qualità e del benessere sociale e in un totem secondo il quale le qualità territoriali, ambientali e storiche della Toscana andrebbero sacrificate per riportare la crescita economica a livelli ritenuti consoni (ma stabiliti da chi e perché?).

Se si assume, invece, la prospettiva del rilancio della società Toscana nel complesso dei molteplici modelli che si confrontano sul mercato globale la nostra regione avrebbe molto da dire in materia di lavoro "liberato", nel senso della valorizzazione di maestria e conoscenza tecniche, di cultura produttiva integrata con quella ambientale che hanno come elemento comune l'impegno per la qualità delle cose che si fanno; in materia di "green society" e di "green economy" per un ritorno alla qualità delle cose che si producono al fine di ridurre gli effetti sul clima, rilanciando la capacità di adattamento per modificare gli oggetti che si fanno e come si usano; ritornando ad essere "bravi artigiani dell'ambiente" (Sennet 2008), reimparando a fare prodotti, edifici e sistemi di trasporto fondati sul risparmio energetico e la qualità del lavoro; "rileggendo" la storia sociale del nostro territorio con l'occhio della natura reinterpretando il lavoro e l'industria come facenti parte della natura stessa.

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