[16/11/2009] News

L'Iccat condanna tonno rosso e squali e autorizza i "muri della morte"

LIVORNO. A Recife, in Brasile, la Commissione internazionale per la conservazione del tonno atlantico (Iccat) non è riuscita per l'ennesima volta a prendere le decisioni necessarie, hanno vinto nuovamente le pressioni dell'industria ittica e della grande pesca. L'Iccat ha approvato raccomandazioni che non garantiscono il recupero del tonno rosso dell'Atlantico, una pesca con un libello di sovra sfruttamento tra i più insostenibili al mondo. Secondo le raccomandazioni degli scienziati per avere una probabilità di recupero di solo il 50% degli stock di tonno rosso entro il 2023, nell'Atlantico orientale dovrebbe essere imposto un limite annuale di catture di 8.000 tonnellate. Ma nonostante questa consapevolezza e i ripetuti appelli per la chiusura di questa pesca, l'Unione europea, gli Stati costieri del Mediterraneo e il Giappone premono per quote di catture a 13.500 tonnellate, rispetto alle attuali 19.950 tonnellate».

Secondo François Provost, responsabile della campagna oceani di Greenpeace International «Ancora una volta, l'Iccat non è riuscita a dare al tonno rosso una possibilità di recupero. Ha anche confermato che gli Stati pescherecci sono in grado di applicare le proprie misure di controllo o di affrontare seriamente la sovraccapacità della loro flotta da pesca. Il divieto di commercio internazionale di tonno rosso dell'Atlantico è ora l'unica possibilità residua per salvare questi pesci "simbolo" dall'estinzione commerciali».

A Recifa è emersa con chiarezza l'impotenza dei membri dell'Iccat, consapevoli del disperato bisogno di porre nuovi limiti alle quote di pesca e della probabile necessità di un prossimo divieto del commercio internazionale del tonno rosso, una proposta già avanzata a ottobre dal Principato di Monaco alla Convention on international trade in endangered species (Cites).

Il Comitato scientifico dell'Iccat ha recentemente evidenziato che l'attuale popolazione riproduttiva di tonno rosso è inferiore al 15% di quella che esisteva prima dell'inizio della pesca industriale, una percentuale bassissima che da sola basterebbe ad inserire questa specie m nella lista dell'Appendix I della Cites che vieta il commercio di animali in pericolo.

Ma non c'é solo il tonno rosso, visto che questa pesca ha anche un forte impatto su squali, tartarughe e uccelli marini e che l'Iccat non è riuscita ad approvare misure di salvaguardia nemmeno per queste specie se non accordarsi che occorre «esaminare questo importante tema il prossimo anno».

Inoltre, in contrasto con le risoluzioni dell'Assemblea generale dell'Onu , l'Iccat ha consentito al Marocco di continuare ad utilizzare fino al 2012 le reti derivanti illegali, quelle che ormai vengono comunemente chiamate "walls of death" , muri della morte, che I marocchini usano soprattutto per rifornire di pesci spada il mercato europeo e che nel Mediterraneo occidentale uccidono almeno 4.000 delfini e 25.000 squali ogni anno. Questa misura è stata fortemente sostenuta a Recife sia dall'Unione europea che dagli Usa.

Secondo Greenpeace International «La dimensione del fallimento dell'Iccat e di altre organizzazioni per la gestione della pesca a gestire in modo responsabile e risorse marine non può più essere ignorata. Esiste un'urgente necessità di passare dal modello attuale di gestione frammentata verso un sistema integrato di governance che si basi su un approccio eco sistemico precauzionale e che preveda espressamente l'istituzione di una rete efficace di riserve marine su vasta scala in alto mare».

Greenpeace propone per una rete globale di riserve marine completamente protette che coprano il 40% degli oceani: «Sono essenziali per garantire oceani puliti e sani e proteggere la vita marina dalla pesca eccessiva e dalla distruzione degli habitat. Oceani sani possono anche svolgere un ruolo essenziale nello sviluppo delle capacità di resilienza contro gli effetti devastanti del cambiamento climatico».

Mentre l'Iccat a Recife è rimasta immobilizzata da veti e contraddizioni, ad Auckland, in Nuova Zelanda, è andata meglio alla riunione per istituire la South Pacific Regional Fisheries Management Organization (Sprfmo) che dovrebbe svolgere un controllo giuridicamente vincolante sulla pesca nel Pacifico meridionale: è stato proposto il divieto dell'utilizzo di reti da posta nelle acque profonde, che hanno un sulle specie vulnerabili, come gli squali, molte delle quali già in declino per il forte sovrasfruttamento.

L'altra cosa di cui si è discusso sono le "reti fantasma", perse o abbandonate, che continuano a pescare e ad uccidere indiscriminatamente le specie marine.

La scorsa settimana, Traffic ha scritto alla nascente Sprfmo per esprimere la profonda preoccupazione per il reclamo fatto dalla Spagna per il fermo dei suoi pescherecci che avevano calato reti da posta fino a 2 km di profondità nelle acque al largo dell'isola australiana di Lord Howe, dicendo che questo non rappresenta un grave impatto sugli ecosistemi marini vulnerabili.

Qualche giorno fa l'Australia ha sequestrato nelle acque antartiche, nell'Oceano Indiano sud-occidentale, un vero e proprio muro di reti da posta lungo ben 130 km che raggiungevano 1,5 km di profondità. Il tutto in un'area dove questo tipo di pesca é proibito, ora si pensa di estendere il divieto a tutto il Pacifico meridionale.
«Traffic accoglie con favore la leadership dimostrata da parte dell'Australia nel sostenere il divieto di uso di reti da posta nelle acque profonde del Pacifico meridionale e mi congratulo con i più di 20 paesi che lo hanno accettato - ha detto Glenn Sant, leader del programma Global marine di Traffic.

La Commissione europea e diverse organizzazioni regionali di gestione della pesca, compresa la Commission for the conservation of Antarctic marine living resources (Ccamlr), la North-East Atlantic fisheries commission (Neafc) e nell'ultimo mese la South-East Atlantic fisheries organization (Seafo) hanno già vietato o fortemente limitato l'utilizzo delle reti in acque profonde.

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