[16/11/2009] News

Copenhagen, un colpo d'ala europeo cancellerà la delusione in Obama?

GROSSETO. Brucia ammetterlo ma la rinuncia del presidente Barack Obama ad andare a Copenhagen per la conferenza Onu sui cambiamenti climatici rappresenta una seria delusione delle aspettative rispetto al ruolo che avrebbe potuto avere nel raggiungere un accordo.
In realtà, come da molti segnali era già emerso, a Copenhagen non vi sarà alcun accordo vincolante ma solo un accordo politico, rimandando il calendario degli impegni per frenare il surriscaldamento del pianeta di un anno, alla già stabilita conferenza Cop 16 di Città del Messico.

L'annuncio della decisione presa assieme alla Cina al vertice Asia-Pacifico è stata le definitiva conferma che i tempi non sono maturi e che l'urgenza di interventi a livello internazionale per ridurre le emissioni di Co2 e per mitigare gli effetti che queste determinano sul clima - che rimane pienamente confermata - dovrà cedere il passo alle esigenze, in primo luogo statunitensi, di trovare intanto un accordo che per il presidente Obama ha un sapore molto più domestico.

Dopo il faticoso via libera alla camera sulla riforma sanitaria, i freni a un accordo internazionale sul clima, non sono più posti per principio come all'epoca di Bush ma per tattica a conferma delle difficoltà che il presidente Obama incontra per far andare avanti il suo progetto di green new deal americano; e come già per la riforma sanitaria anche il green Bill soffre oltre che delle avversioni da parte repubblicana anche delle notevoli resistenze da parte del suo stesso schieramento democratico. Un fuoco amico cui Obama ha dovuto piegarsi, nonostante la versione ufficiale di non vincolare per il momento il suo paese a nessun trattato, faccia riferimento a un flop annunciato del vertice internazionale più che ai problemi di mandare avanti le questioni interne.

«Siamo realisti - avrebbe detto Obama ai suoi consiglieri - ormai la scelta era se andare verso un fiasco di Copenhagen, oppure cercare in quella sede un accordo politico di principio, rinviando a tempi successivi gli impegni operativi».

Una decisione che rimescola anche le carte in merito alle leadership sul vertice Onu, con la Cina che acquisisce sempre più il ruolo di ago della bilancia, con la possibilità di alzare ancora l'asticella sulle richieste da parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo e l'Europa invece sempre più ai margini. E non sarà facile il compito del premier danese per salvare il salvabile.

«Alla luce dei tempi ristretti - ha detto Lars Rasmussen - e vista la situazione dei singoli paesi, dobbiamo concentrarci su quello che è possibile e non lasciarci distrarre dall'impossibile».
Posizione duramente attaccata da Kaisa Kosonen, Climate policy advisor di Greenpeace international, alla vigilia del "Pre-COP" di oggi e domani dei ministri dell'ambiente che deve preparare il vertice di dicembre a Copenhagen: «Il primo ministro danese Rasmussen è diventato complice degli Stati Uniti in un cosiddetto "affare" che metterà Obama in difficoltà politica davanti alla sopravvivenza dei Paesi più vulnerabili del mondo. Non penso che la maggioranza dei Paesi aderiranno a questo piano "salva-faccia" Non ci sono scuse reale per rinviare decisioni giuridicamente vincolanti per un'azione ambiziosa».

L'incontro dei ministri dell'ambiente europei, secondo lo schema, doveva servire a discutere degli ultimi dettagli in vista dell'approvazione di un trattato internazionale per la regolamentazioni delle emissioni di Co2 nel periodo successivo al 2012 cercando di risolvere i due principali nodi, le azioni di mitigazione e i finanziamenti per i paesi in via di sviluppo.

Ma dovranno invece rivedere il documento sottoscritto solo il 21 ottobre scorso come base di partenza per le discussioni della conferenza delle Nazioni Unite a Copenhagen del prossimo dicembre. L'Unione europea si era preparata da tempo a questo appuntamento con un obiettivo unilaterale importante (-20% di gas serra in meno al 2020 rispetto al 1990), e la disponibilità ad incrementare il proprio impegno (-30%) in caso di accordo globale, ottenendo così un importante ruolo di leadership che nel documento varato nell'ultimo consiglio dei ministri era stata fortemente rivendicata.

Invece all'ordine del giorno del vertice dei ministri ambiente c'è il nuovo scenario che si è aperto a Singapore, che ha fatto infuriare la Gran Bretagna e la Francia e che potrebbe rivelarsi invece favorevole alle reticenze più volte dimostrate dal nostro paese a mantenere obiettivi ambiziosi.

Il segretario per i Cambiamenti climatici e l'Energia, Ed Miliband, ha chiesto ad Obama di ripensarci e di accelerare i negoziati affinché a Copenaghen ci sia un accordo di ampia portata e Gordon Brown è andato oltre, promettendo che l'accordo ci sarà e che non ci potrà essere alcun piano B alternativo.

Anche in Germania il ministro per l'ambiente Norbert Rottgen non vuole che si dichiari in anticipo il fallimento del vertice di Copenhagen e come anche il francese Jean-Louis Borloo ed il presidente brasiliano Lula (che proprio sabato aveva firmato un testo comune con Sarkozy impegnandosi in tagli ambiziosi alle emissioni) ha detto che proverà a convincere il presidente Usa a ripensarci.

I leader dell'Unione europea quindi, o almeno parte di essi, non sembrano intenzionati a farsi dettare l'agenda climatica da quanto emerso dalla riunione a due tra Obama e Ju Hintao nell'ambito del vertice dell'Apec. I giochi quindi - anche se fortemente segnati - potrebbero essere ancora aperti.

«La frenata di Stati Uniti e Cina sugli impegni per la riduzione delle emissioni è una pessima notizia», questo il commento di Fabrizio Vigni, Presidente nazionale degli Ecologisti Democratici.

«Si rischia - continua l'esponente Ecodem - un fallimento totale della prossima conferenza sul clima che si terrà a Copenaghen. L'amarezza però non deve trasformarsi in rassegnazione. L'Unione Europea non può essere spettatore impotente, deve infatti dispiegare una forte, tenace e sinergica iniziativa per tessere alleanze e fare in modo che la conferenza si concluda con l'assunzione di impegni quanto più possibile precisi e vincolanti».

«L'Europa - conclude Fabrizio Vigni - deve esercitare pienamente la sua leadership nella sfida del clima e della green economy come ha già saputo fare in altri momenti difficili».

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