[20/07/2009] News

La conoscenza sia il motore dello sviluppo sostenibile anche del Mediterraneo

LIVORNO. Milano oggi e domani sarà al centro delle politiche di sviluppo del Mediterraneo con il Forum economico e finanziario dedicato, appunto, al bacino su cui si affaccia il nostro paese. Una due giorni che riunirà diversi capi di Stato e di governo per discutere come raggiungere una progressiva integrazione dell'area economica mediterranea, focalizzando l'attenzione su alcune tematiche strategiche a questo scopo quali l'energia, le reti infrastrutturali e il sostegno alle imprese. Uno dei temi alla base dell'integrazione riguarda lo squilibrio demografico e di conseguenza di forza lavoro sulle due sponde, perché come indica un rapporto della Banca mondiale la dinamica prevista per il prossimo futuro (al 2015) è quella di una forza lavoro che calerà di 66 milioni in Europa mentre aumenterà nel Nord Africa e nel resto del Medio Oriente di circa 44 milioni. Il tema è allora come trovare il modo di riportare ad equilibrio queste disparità. Tema non semplice come sottolinea Giorgio Barba Navaretti dalle pagine del giornale di Confindustria e a cui propone come soluzione quella di «considerare il Mediterraneo come una piattaforma di lavoro integrata, con una forte mobilità sia di lavoratori sia di posti di lavoro tra una sponda e l'altra del grande mare».

 

La mobilità si traduce nei fatti con una crescita di flussi migratori che dovrebbero essere gestiti dai paesi della sponda opposta anche attraverso una qualificazione basata sulla formazione e su di un maggior livello di educazione di questa forza lavoro per renderla più idonea alle necessità e alle richieste che da questa parte provengono. E questo potrebbe tradursi in aiuti ai paesi della sponda sud del mediterraneo perché possano investire di più per l'istruzione e la qualificazione tecnica di questi lavoratori. L'altro pezzo del ragionamento si lega alla possibilità di pensare anche ad uno spostamento dei posti di lavoro, ovvero quella che Navaretti chiama «offshoring di attività produttive in paesi dove c'è una forza adeguata di forza lavoro per poterli svolgere». Che possiamo in altri termini chiamare delocalizzazione o nuovo colonialismo a seconda delle sfumature.

 

Proposte di soluzione ad un problema di integrazione che mal si adattano però al ragionamento che fa oggi la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, riguardo al tema della conoscenza come motore di sviluppo e che niente hanno a che fare con un modello si sostenibilità sociale e ambientale, che dovrebbe essere alla base di una economia ecologica, quale quella che ispira questo giornale.

 

Riferendosi alla necessità di legare in maniera sempre stretta l'incremento della conoscenza con la crescita delle imprese per uscire dall'attuale congiuntura sfavorevole, Marcegaglia richiama le priorità evidenziate qualche settimana fa nel rapporto dell'Ocse, Going for growth, ovvero la necessità di aumentare il livello d'istruzione terziaria e promuovere le collaborazioni tra imprese. E per spiegare come funziona questa dinamica tra formazione/istruzione,ricerca/innovazione e crescita usa l'immagine del triangolo della conoscenza che sta in un rapporto sul tema della Commissione europea.

 

In questo triangolo al vertice sta l'istruzione/formazione legata al nucleo centrale rappresentato dalla tecnologia e alla cui base stanno la risorse umane, il mercato del lavoro e il sistema finanziario. «L'incremento di capitale umano generato dall'istruzione/formazione migliora la produttività del lavoro- spiega Marcegaglia - e, quindi, genera sviluppo economico; accelera la crescita della produzione e favorisce l'utilizzazione e la diffusone delle innovazioni nel sistema produttivo».

 

Un altro fattore fondamentale di questa analisi dell'economia basata sulla conoscenza, ricorda ancora Marcegaglia, è quella che chiama «una evidenza empirica sempre più incontrovertibile: l'interdipendenza tra i diversi attori, tra di diversi settori, le differenti imprese, i diversi paesi». Un'analisi che, dal nostro punto di vista, pecca del fatto che ignora un altro fattore fondamentale di una economia basata sulla conoscenza, ovvero che questa dovrebbe essere orientata al fine di tradursi in un modello di sviluppo diverso da quello attuale. Modello che ha saputo portarci abbastanza lontano ma che ha perso di vista l'avvicinarsi del punto di non ritorno. Un modello che ha determinato l'attuale intrecciarsi di crisi ecologica ed economica, di disuguaglianze tra una parte di pianeta opulento che difficilmente riesce a rinunciare al livello cui si è abituato e che non sa arginare l'incremento della popolazione che soffre la fame e che vive in un costante livello di povertà. Un modello che considera e che chiama "politiche di integrazione" nel Mediterraneo un giusto equilibrio tra flussi migratori preparati agli standard del fabbisogno di forza lavoro cui ha bisogno la sponda ricca e la delocalizzazione di imprese che così possono trovare sul posto sia la forza lavoro che le materie prime di cui necessitano.

 

Una economia di rapina, delle risorse naturali, umane e di conoscenza che ha, da tempo, mostrato oltre alla totale assenza di etica e di sostenibilità sociale e ambientale, anche il suo fallimento come modello di sviluppo capace di garantire un futuro al pianeta e alle specie che lo popolano. E che poco ha a che vedere con una economia basata sulla conoscenza in cui il fattore di scambio deve essere alla pari, come richiamava anche la Marcegaglia, in cui il processo di creazione della ricchezza (materiale e immateriale) sia condiviso e dove vi sia garanzia che questa ricchezza venga poi ripartita in maniera equa tra chi ha contribuito a crearla.

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