[23/11/2009] News

La società dei consumi - di Jean Baudrillard

«Ora noi sappiamo che l'oggetto è nulla, e che dietro di esso si aggroviglia il vuoto delle relazioni umane, il disegno a caldo dell'immensa mobilitazione delle forze produttive e sociali che vengono a reificarvisi. Attenderemo le irruzioni brutali e le disgregazioni improvvise che in maniera tanto imprevedibile ma certa, quanto il maggio del 1968, manderanno in frantumi questa messa bianca». L'epilogo profetico con cui Jean Baudrillard chiudeva nel 1974 il suo lavoro forse più famoso "La società dei consumi" rappresenta la cartina tornasole per leggere con gli occhi di oggi questo attualissimo saggio scritto ormai quasi 40 anni fa.

Sulla scorta dei lavori di Gervasi e Galbraith, economisti, e dei sociologi che in quegli anni cominciavano ad affacciarsi sul tema, Baudrillard smonta la mitizzazione della società dei consumi fondata sul presupposto sbagliato - la pubblicità è il peana trionfale di questa idea - di trovarsi una ‘società dell'abbondanza'.

La profezia che sgretola il falso mito della crescita senza se e senza ma, figlio appunto di una millantata abbondanza che non esiste, oggi pare finalmente realizzarsi nelle crisi che hanno squarciato il velo di Maja di questo inizio di millennio. Anche se probabilmente tutto ciò non sarà sufficiente a "mandare in frantumi questa messa bianca" e serviranno ancora altre "lezioni" catastrofiche su cui piangere e immolarsi.

 Ma l'altra grande e attualissima intuizione di Baudrillard è che oggi (e già negli Settanta) non si consuma l'oggetto in sé (nel suo valore d'uso), bensì si manipolano gli oggetti come segni che differenziano. Non c'è infatti alcuna massa di consumatori e tantomeno c'è qualche bisogno che emerge spontaneamente: la trafila dei bisogni come quella degli oggetti e dei beni è dunque fin dall'inizio socialmente selettiva. «I bisogni e le soddisfazioni - spiega Baudrillard - filtrano verso il basso (trickling down) in virtù di un principio assoluto, di una specie di imperativo sociale categorico che è il mantenimento della distanza e della differenziazione per mezzo dei segni».

E' questa legge che condiziona tutta l'innovazione degli oggetti come materiale sociale distintivo «dall'alto verso il basso».

Insomma l'autore qui smaschera perfino la fiducia nella tecnologia e nell'innovazione che ancora oggi viene spesso proposta come panacea alle conseguenze prodotte della società della crescita e dal sistema industriale, che supponendo proprio la crescita dei bisogni, «suppongono anche un perpetua eccedenza dei bisogni in rapporto all'offerta di beni», falsamente abbondante e limitata in realtà dai limiti fisici del pianeta. Perché ogni prodotto - spiega Baudrillard - ha la possibilità di essere serializzato, ogni bisogno la possibilità di essere soddisfatto massicciamente, ma solo se non fa più parte del modello superiore e non sia già stato rimpiazzato da qualche altro bene o bisogno distintivo che preservi la distanza e la differenziazione sociale.

Insomma l'innovazione, se lasciata al libero arbitrio del mercato, viene introdotta soltanto per reagire alla perdita dei segni distintivi precedenti, al fine di ripristinare le distanze sociali.

Tutto questo è una delle forme di segregazione sociale più pesanti oggi e per questo si fa di tutto per far credere al consumatore che in realtà tale finta abbondanza, tale finta possibilità di distinguersi attraverso i propri consumi, sia sinonimo di libertà, di scelta delle sue condotte distintive mascherando la reale "costrizione di differenziazione" e di obbedienza a un codice.

 Manca ovviamente una conclusione a tutto il ragionamento, che torna a richiamare in ballo il braccio armato della mitologia dell'abbondanza e della crescita infinita: la pubblicità. Se infatti appare utopico pensare di consapevolizzare i cittadini di questo pianeta - così diversamente indotti ed edotti, ma tutti legati alle catena di questo modo di consumare i segni e il segnale che di noi stessi si vuole offrire agli altri - è invece possibile pensare di agire proprio sulla leva pubblicitaria, ed utilizzarla per trasformare in segni distintivi e positivi, scelte che guardino al futuro e al mantenimento di questo pianeta e di questa razza umana, che sta mettendo a dura prova la sua sopravvivenza segando il ramo su cui si siede.

 

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