[25/11/2009] News

Wto e Copenhagen, i movimenti ci riprovano

GROSSETO. A dieci anni dalla riunione del Wto a Seattle che vide la nascita del movimento no global, sono cambiate tante cose nell'assetto politico istituzionale planetario: quello che invece non è cambiato è l'approccio verso un modello di sviluppo ineguale, insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale che ha mostrato le corde con la crisi economica che ancora ci prova a risolversi lasciando tutto immutato.
Ma è l'ora di darci un taglio, sostengono le associazioni firmatarie di un appello alla mobilitazione per i prossimi appuntamenti internazionali: il Wto di Ginevra e la Cop 15 di Copenhagen.

Con lo slogan "Wto e Co2: a 10 anni da Seattle, diamoci un taglio" Fair, Arci e Legambiente provano a rivitalizzare un movimento che - almeno in Italia - sembrava aver perso molto della sua forza propulsiva ma che deve ancora fare i conti con un pianeta in panne e con un sistema economico che cerca di riprodurre lo stesso modello contestato dieci anni fa.
«Non è più il momento di stare a guardare, è a rischio la stabilità e la sopravvivenza di intere comunità per gli anni a venire. E' a rischio un futuro sostenibile per le generazioni che verranno».

Per questo Fair, Legambiente ed Arci, hanno deciso di attivarsi il 28 novembre in occasione dell'azione globale per la giustizia nel commercio ed il 12 dicembre per 100 piazze per il clima, in occasione della mobilitazione mondiale per la giustizia climatica.
«L'ultima crisi economico finanziaria ha dimostrato l'insostenibilità di un sistema dove la finanza ed i capitali si sganciano dall'economia reale, dove persino il cibo diventa oggetto di speculazione finanziaria condannando alla fame oltre un miliardo di persone - si legge nel documento delle tre associazioni - e dove le ricette per curare questi disastri non possano essere le stesse proposte e riproposte da quasi trent'anni».

Come non possono rimanere immutate le politiche «imposte dalle grandi organizzazioni internazionali, Fondo monetario e Banca mondiale e, dal 1994, l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che hanno progressivamente aggravato le condizioni di miliardi di persone nel mondo. L'Africa, continente depredato da secoli di politiche insostenibili, si è ridotto ad essere fornitore di materie prime all'intero pianeta, mentre la maggior parte dei paesi africani si è trasformata in importatore netti di derrate alimentari. L'impatto della crisi speculativa dei prezzi agricoli è stata per queste comunità devastante».

Così come non accettabili sono, per le tre associazioni, «le politiche proposte all'interno dei negoziati plurilaterali come gli Epa (gli Accordi di partenariato economico dell'Unione europea con Africa, Caraibi e Pacifico) o dei forum multilaterali come la Wto che continuano a spingere verso una liberalizzazione dell'agricoltura e un'apertura dei mercati, invece di sostenere e tutelare le produzioni locali, i mercati interni e la sovranità alimentare di questi paesi».

E sarà proprio l'agricoltura il tema centrale della prossima riunione Wto a Ginevra, in programma dal 30 novembre al 2 dicembre 2009, «con il tentativo di trasformarla da fonte di cibo a fornitrice di prodotti. Una liberalizzazione e un'apertura dei mercati che, inserita in un contesto globale in cui la stragrande maggioranza delle filiere produttive e distributive sono in mano a grandi gruppi multinazionali non farebbe altro che aggravare l'attuale situazione di povertà e fame cronica in buona parte del Sud del mondo».

Quando anche i risultati dell'ultimo vertice della Fao, che a fronte dell'aumento del numero delle persone che soffrono la fame nel mondo, non è riuscita ad ottenere lo stanziamento di nessuna cifra dimostrano «semmai ce ne fosse stato bisogno, il disimpegno ed il disinteresse delle èlite globali nei confronti della fame e della miseria».

Uno scenario che vede allargarsi sempre più la forbice tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri: «Una tendenza che verrà ancor più confermata dal disastro climatico a cui stiamo assistendo con una progressione che potrebbe continuare se non si interviene in maniera drastica sulle emissioni».
Perché scrivono ancora Fair, Arci e Legambiente «la modifica dei pattern climatici porterà a un drastico cambiamento nella produttività agricola, con paesi tropicali, soprattutto dell'area africana che potrebbero arrivare ad una diminuzione di circa il 50% entro il 2020 per fenomeni di desertificazione (per il cambiamento dei regimi pluviali) e di erosione dei suoli».

Con un conseguente crollo delle risorse derivanti dall' agricoltura che, per questi paesi, potrebbe arrivare al 90% entro il 2100, secondo gli ultimi dossier di Wto e Unep sul cambiamento climatico.
Così come «lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe modificare alla radice le disponibilità di acqua per intere comunità, o l'innalzamento degli oceani mettere rischio paesi costieri come il Bangladesh e stati insulari come le Maldive».

Per questo scrivono «la Conferenza delle Parti Onu sul cambiamento climatico di Copenaghen dovrà essere un momento cruciale ed efficace per la lotta per una giustizia climatica, per questo siamo decisi a fare pressione perché alla chiusura del COP15 corrisponda un reale cambiamento nelle politiche globali verso un futuro sostenibile».
E per questo chiedono «con convinzione che Copenhagen non sia un'occasione sprecata, e che possa essere un passo importante verso accordi per politiche di responsabilità globale di mitigazione ed adattamento davanti al cambiamento climatico».
Quindi «per evitare che, dopo il fallimento del vertice della Fao, l'unico impegno assunto dalle élite globali sia la conclusione dei negoziati commerciali del Doha Round alla Wto», Fair, Legambiente ed Arci si attiveranno e cercheranno di attivare una mobilitazione nazionale e internazionale in occasione dei due vertici: il 28 novembre per l'azione globale per la giustizia nel commercio ed il 12 dicembre in 100 piazze per il clima, per la mobilitazione mondiale per la giustizia climatica.

Le richieste che stanno alla base delle mobilitazioni riguardano nello specifico il blocco di qualsiasi negoziato Wto che parli di liberalizzazione del mercato agricolo e dei servizi essenziali e di sovvenzioni all'esportazione, mente si dovrebbe trasformare ogni sussidio pubblico in un esplicito sostegno alle produzioni di piccola scala, sostenibili ed attente al territorio.

Sempre riguardo al Wto si chiede la fissazione di paletti e di politiche positive nella produzione e nella distribuzione, per concentrare risorse su filiere trasparenti, eque e sostenibili, capaci di promuovere la sovranità alimentare, la tutela dell'agricoltura familiare e quella dei beni comuni.

Riguardo alla Cop15 e per ottenere una giustizia climatica si chiede di focalizzare le scelte economiche e di investimento verso la promozione e l'uso di energie sostenibili a discapito di negoziati commerciali ed accordi che promuovono produzioni ad alto consumo energetico, e di riorientare molte delle risorse pubbliche su risorse energetiche realmente pulite, rinnovabili, controllate dalle comunità locali sulla base del principio della sovranità energetica.

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