[21/07/2009] News toscana

Dal Pil a indici alternativi.. ma quali? E che cosa misurare?

FIRENZE. E' in svolgimento a Firenze la 9° conferenza dell'International society for quality-of-life studies (Isqols), che avrà termine giovedì 23 con una plenaria cui prenderanno parte Enrico Giovannini (capo statistico Ocse), il presidente dell'Isqols, Robert Cummins e la vicepresidente, Filomena Maggino dell'università di Firenze, la cui intervista è visibile nell'altro articolo (vedi link in fondo alla pagina). Nella giornata di domani, invece, si terrà un confronto su "Qualità della vita e sostenibilità - obiettivi di sviluppo sociale concordanti o in conflitto?".

Obiettivo della conferenza è portare avanti il dibattito sugli indicatori alternativi al Pil, nell'ambito di un più ampio confronto su quali vadano considerati i più appropriati obiettivi generali di progresso delle società umane, e soprattutto su quali step politici, comunicativi e operativi vadano compiuti per passare dall'odierna "dittatura del Pil" ad un futuro in cui ad esso sarà affiancato o sostituito da altri indici macroeconomici alternativi.

Le questioni fondamentali appaiono due. La prima è proprio capire come (e tramite quali strumenti comunicativi) passare dalla fase di discussione alle azioni per giungere in futuro ad un effettivo radicamento politico e mediatico degli indici alternativi.

La seconda questione verte su quale sia il migliore approccio critico al Pil: serve cioè capire in che cosa il principale indice macroeconomico sia inadatto per descrivere il benessere umano e la sostenibilità ambientale, davanti alla divergenza che in molti casi all'interno delle società industrializzate, si è rivelata tra gli indicatori di benessere (umano e "ambientale") e quelli di crescita economica.

E' questione che è stata analizzata nel corso del meeting di san Rossore da Stefano Bartolini dell'università di Siena: secondo Bartolini, infatti, nei paesi sviluppati sussiste una relazione inversa tra Pil e benessere, che è evidente sia dai dati presentati sia dai calzanti esempi di scuola che sono stati fatti: per esempio, alla crescita degli impegni lavorativi corrisponde, nella vita delle persone, un impoverimento relazionale. Questo, a sua volta, porta al cosiddetto "workalcoholism" e a quella che Bartolini ha definito come «bulimia delle merci», che a loro volta conducono ad un'ulteriore impoverimento relazionale e così via: questi circoli viziosi, piuttosto lampanti, indicano se confrontati coi dati una indubitabile relazione inversa tra crescita economica e benessere, che si instaura una volta superato quel livello di (basso) sviluppo in cui la crescita economica è associata alla crescita del benessere. Secondo Bartolini, quindi, il principale difetto del Pil è la sua capacità di tagliare le gambe al benessere, nei paesi sviluppati. Un difetto che possiamo definire "sociale".

Più promettenti appaiono quegli indicatori alternativi che correggono il Pil non tanto con fattori sociali, ma soprattutto con fattori ambientali. E' infatti assurdo che il prelievo di risorse (energetiche e materiali) finite, che serve all'instaurazione di un processo produttivo non venga contabilizzato: in questo modo (ed è così che il Pil opera) il dato descrive solo i ricavi che facciamo dal capitale naturale, non certo che cosa ne "guadagniamo", e con quale efficienza svolgiamo questo processo. Guardando alla fase catabolica del metabolismo economico possiamo focalizzarci su due tra le principali esternalità negative, e cioè i rifiuti prodotti e le emissioni climalteranti causate dai processi produttivi: in particolare le emissioni sono un fattore che, allo stato attuale e in assenza di meccanismi globali e condivisi di "prezzo al carbonio", costituiscono un'esternalità negativa sempre più importante (a causa delle conclusioni cui sta giungendo la comunità scientifica sull'evidenza del legame emissioni-surriscaldamento), ma che non ha la minima voce all'interno del Pil. Ciò significa che se l'imprenditore x apre una manifattura usando meno materia possibile e adottando energia rinnovabile, contribuisce al Pil allo stesso modo (anzi, probabilmente meno) rispetto ad un imprenditore y che non si fa scrupoli legati all'efficienza energetica e materiale del processo. E qui sta l'assurdità.

Indici macroeconomici caratterizzati da correttivi su flussi energetici e materiali (come il cosiddetto "Pil verde") sono allo studio, in alcuni casi sono già applicati, anche se in modo non integrato col Pil (Norvegia dal 1978, Messico dal 1990), e anche paesi come la Cina hanno annunciato la loro applicazione: in realtà l'indice "green Gdp" è già attivo in Cina dal 2006, ma occorre adesso attendere una sua integrazione nei documenti di programmazione economica, per esempio all'interno del prossimo piano quinquennale (2011-2015) che, secondo quanto sostiene Nicholas Stern nel suo "Piano per salvare il pianeta", dovrebbe focalizzarsi sulla crescita economica a basso tenore di carbonio, e quindi probabilmente anche sui relativi indici macroeconomici corretti.

Certo, gli indici migliori in assoluto possono sembrare salomonicamente quelli "misti", come il Genuine progress index (Gpi) che costituisce evoluzione dell'indice Isew (index of substainable economic welfare), entrambi indicatori che a valutazioni sociali correlano analisi "ambientali" legate al concetto di impronta ecologica. Ma ciò che preme sottolineare è che, per fornire ai media e alla politica una convincente alternativa al Pil, appare necessario elaborare questa alternativa puntando al massimo grado di contabilizzazione di fenomeni misurabili in via oggettiva (e riconoscibile come tale dai media e dalla politica), come derivante da contabilizzazioni puramente oggettive è il - sia pur grezzo - Prodotto interno lordo.

E quindi in primo luogo la matrice delle analisi deve essere "ambientale" o comunque prendere come fattori centrali, tra quelli "sociali", soprattutto quelli contabilizzabili con precisione a scapito di quelli più legati a valutazioni soggettive: e questa considerazione vale ancor più oggi alla luce dei non più marginali e vaghi, ma sempre più pesanti e sempre più definiti impatti che il cambiamento climatico e la degenerazione dei flussi energetici e materiali stanno avendo sulle società umane e sui relativi apparati produttivi.

 

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