[03/12/2009] News toscana

La Toscana verso il 2030, approfondiamo il rapporto Irpet (2)

FIRENZE. «L'agevole accesso della popolazione ai luoghi di lavoro, studio, consumo, e delle merci ai luoghi di destinazione; la raggiungibilità del territorio dall'estero (..); la disponibilità di adeguati approvigionamenti energetici e idrici; la possibilità di collegamento alla rete dei flussi informativi internazionali sono tutte condizioni di crescita dei sistemi regionali, garanzia di qualità della vita per la popolazione regionale, strumenti di equilibrio territoriale».

E', questa considerazione, l'incipit della sezione che la sintesi del rapporto "Toscana 2030" dedica a quella che viene chiamata la «debolezza infrastrutturale» della regione. L'azione in direzione della realizzazione di infrastrutture viene definita giustamente come «compito primario di governo della cosa pubblica dal momento che la dotazione infrastrutturale è bene scarsamente sostituibile, condizione di efficienza complessiva del sistema». In un altro documento pubblicato nel corso del 2009 dalla stessa Irpet, e cioè il rapporto sperimentale "Elementi per la conoscenza del territorio toscano", veniva scritto infine che «il sistema dei trasporti, infrastrutture e livello di servizio definisce l'accessibilità del territorio (e) costituisce dunque elemento di equità territoriale, favorendo percorsi di crescita locale».

Queste considerazioni aiutano a definire meglio quanto già affermato ieri sul rapporto "Toscana 2030", e cioè il fatto che - dato per scontato che l'azione di governo deve comprendere anche la realizzazione di infrastrutture, al duplice fine di garantire l'accessibilità (fisica e/o informativa) ai territori e di contribuire a rifornire di carburante il motore economico - occorre però analizzare l'effettivo impatto delle varie possibili branche di azione sui territori in cui le infrastrutture in questione saranno poste in opera.

Il punto non è, naturalmente, osteggiare sempre e comunque ogni forma di struttura che favorisca la mobilità privata, e dare il placet solo a quelle per la mobilità pubblica. E nemmeno illudersi che il percorso di infrastrutturazione possa comprendere solo elementi immateriali (es. i servizi digitali forniti dalle P.a.) o ad impatto limitato come (almeno in buona parte dei casi) è quello delle infrastrutture di trasferimento dati, o dimenticare che nel comparto infrastrutturale sono comprese anche quelle opere (si pensi ai depuratori, o alle strutture per evolvere la gestione del ciclo integrato dei rifiuti) che costituiscono direttamente fattori di perseguimento di una maggiore sostenibilità dello sviluppo. E' chiaro, peraltro, che ad esempio in alcuni contesti (quelli che Irpet definisce come «aree disagiate», citando ad esempio la zona dell'Amiata) l'effettiva scarsità di reti di collegamento fisico costituisce un reale fattore di limitata accessibilità. Ed è anche ovvio infine che, come afferma il rapporto, il miglioramento dell'accessibilità costituisca, in queste aree specifiche, una «condizione di avvio alla crescita».

Ma questa considerazione va modulata anche sulla suddivisione che Irpet fa delle varie zone della Toscana. Il rapporto cita infatti, oltre alle "aree mature" e a quelle "disagiate", due altre tipologie di zone in cui è suddivisa la regione: la prima tipologia (individuabile nel massese, in Lunigiana, nel «percorso tirrenico») individua zone «caratterizzate da fasi di riconversione industriale, dove la buona dotazione infrastrutturale, per la scarsa integrazione, rappresenta un fattore di pressione sul territorio e non sviluppa le adeguate potenzialità». La seconda descrive zone che, «pur dotate sul piano infrastrutturale e con tessuti economici riccamente produttivi, stentano ad individuare percorsi di crescita autonomi e ad affermare una propria identità funzionale», e a questo proposito viene citata la zona di Pistoia.

Ora, la questione fondamentale investe le valutazioni presentate in apertura: se si dà per scontato, cioè, che le infrastrutture costituiscano sempre «condizioni di crescita dei sistemi regionali, garanzia di qualità della vita per la popolazione regionale, strumenti di equilibrio territoriale», com'è che in alcune aree - pure definite «ben dotate dal punto di vista infrastrutturale» come il pistoiese e il massese - queste condizioni di crescita, di qualità della vita, di equilibrio territoriale non si sono verificate come nelle attese?

Questa considerazione è funzionale al porsi alcune domande: è scontato che l'obiettivo per le aree oggi disagiate debba essere rappresentato dall'attivazione di un percorso di crescita? E' scontato che la realizzazione di infrastrutture di trasporto sia da considerarsi garanzia di qualità della vita per le popolazioni interessate? E' scontato che l'equilibrio cui si debba puntare consista nell'adeguare la dotazione infrastrutturale delle aree meno fornite a quella delle aree "mature"?

E - attenzione - queste domande non sono da considerarsi "retoriche", cioè non pretendono di contenere in sé la risposta ad esse. Non è in discussione cioè l'importanza della crescita, a causa in primis dei suoi risvolti occupazionali, e anche del fatto che è solo nella crescita quantitativa che le opzioni per evolvere questa "quantità" in "qualità" (e quindi la "crescita" in "sviluppo") possono essere percorribili politicamente. E non è neanche in discussione il fatto che, se nella stessa regione coesistono zone la cui dotazione è di livello europeo, e altre che invece sono caratterizzate da una viabilità (e in generale un'accessibilità da tutti i punti di vista) ormai obiettivamente obsoleta, è giusto pensare a come introdurre degli elementi di riequilibrio.

Ma non è neanche in discussione il lampante fallimento che in alcuni casi (e non certo solo in Toscana: si pensi alle Banlieu di Parigi) politiche di infrastrutturazione troppo marcata sono state elemento di grave impoverimento della qualità del territorio e di quella della vita della popolazione, e anzi addirittura esse sono diventate fattore di diminuizione dell'accessibilità delle zone in questione, oltre che contributo determinante al loro isolamento sociale e culturale.

Resta quindi un dubbio su quali percorsi di sviluppo vadano compiuti (o meglio: quali debbano essere prevalenti in un contesto multiforme e integrato) nella Toscana dei prossimi decenni. Ciò che è certo è che l'azione di governo in direzione della "realizzazione di capitale pubblico" continua, continuerà ed è anche giusto che sia così. Ma non è certo che i paradigmi adottati, nemmeno quelli da Irpet il cui rapporto è particolarmente evoluto in termini di visione integrata dello sviluppo con i problemi sociali e ambientali, siano infallibili come essi vengono spesso considerati. E in chiusura va anche rammentato come l'azione infrastrutturale sia, in termini politici, tra quelle tipicamente più osteggiate da parte della popolazione, per motivi egoistici (sindrome Nimby) o magari per una sana volontà di difendere il grado di conservazione (e quindi, per certi versi, l'attrattività stessa) del territorio vissuto. Questo elemento, che spesso viene sottovalutato in partenza, costituisce un ulteriore elemento di riflessione: se l'obiettivo (condivisibile) è quello di un miglioramento dell'efficienza della gestione della cosa pubblica, il cronico ritardo con cui (a causa anche della sottovalutazione delle resistenze politiche) molte volte i lavori pubblici giungono a compimento è certo un elemento di inefficienza e di perdita di credibilità politica.

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