[07/12/2009] News

Copenhagen al via, il mondo ha pił speranza e Obama sarą davvero protagonista

LIVORNO. Il conto alla rovescia cominciato 2 anni fa è finito: la Cop 15 di Copenhagen si apre accogliendo nella capitale danese 15 mila partecipanti, in rappresentanza di 192 Paesi, preceduta e accompagnata da una impressionante sequela di dichiarazioni, come se il mondo volesse recuperare in qualche ora il tempo e le occasioni perse durante la defatigante road map tracciata a Bali. Arrivati agli ultimi 12 giorni prima del traguardo ci si accorge che un po' di strada è stata fatta, che nel deserto che avevamo alle spalle qualche verde speranza è nata e cresciuta. Il segretario esecutivo dell'Unfccc, Yvo de Boer, ha presentato le questioni sulle quali si dovranno mettere da oggi d'accordo al summit mondiale sul clima di Copenhagen i delegati di tutti i governi del pianeta. Ed ha evidenziato che «I negoziatori hanno ricevuto segnali più chiari dai leader mondiali per presentare delle proposte solide per poter reagire rapidamente. In queste due prossime settimane, i governi devono apportare una risposta forte e a lungo termine sui problemi del cambiamento climatico».

Secondo de Boer i punti cruciali sono: «L'applicazione rapida ed efficace di un'azione immediate sul cambiamento climatico; degli impegni ambiziosi per ridurre e limitare le emissioni; una visione condivisa a lungo termine su un futuro a  basse emissioni per tutti. Mai in 17 anni di negoziati climatici, un così gran numero di Paesi differenti ha fatto un così gran numero di promesse inderogabili. Adesso, quasi tutti i giorni, i Paesi annunciano dei nuovi obiettivi e piani di azione per ridurre le emissioni. Questo è semplicemente senza precedenti. Copenaghen è già un punto di svolta nella risposta internazionale ai cambiamenti climatici».

In effetti, nelle ultime settimane, Cina, India, Indonesia e altri Paesi hanno annunciato il loro impegno a ridurre le emissioni, alimentando le speranze di successo a Copenhagen. Di quanto ha detto il Sudafrica parliamo in un altro articolo di greenreport, ma ieri anche il Giappone  ha confermato di essere disposto ad aumentare il suo obiettivo di taglio delle emissioni fino al 25% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990, se anche gli altri grandi inquinatori sono disposti a prendere misure simili, ad iniziare da Cina ed Usa.

De Boer sa anche che a Copenhagen potrebbe trovarsi di fronte alla clamorosa protesta di alcuni Paesi che minacciano di abbandonare la Conferenza dell'Unfccc, come i piccoli Stati insulari, perché non credono che l'obiettivo di 2 gradi di aumento massimo di temperatura riesca davvero ad evitare i danni irreversibili che stanno già sperimentando sui loro territori ed è convinto che «Ci sarà un vero successo solo se queste preoccupazioni verranno accolte nel documento finale».

Il padrone di casa, il premier danese Lars Løkke Rasmussen, sta accogliendo i Capi di Stato e di governo di 105 Paesi e le ritrosie iniziali sembrano superate: ci saranno Barack Obama e Wen Jiabao, Lula e Singh, Zuma e l'Unione europea al completo. Presenze che Janos Pasztor, l'inviato speciale sul clima del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, interpreta come «segni di speranza». E che a Copenhagen si respiri un ottimismo non più di facciata lo si capisce anche da quanto scrive oggi su The Guardian  il premier britannico Gordon Brown, che punta molto su Copenhagen per risollevare le sue sorti in una campagna elettorale che sembra segnata. Il leader laburista ha chiesto che alla Cop 15 si approvi un accordo «Che in 6 mesi al massimo si trasformi in un trattato legalmente vincolante. Secondo Brown: «A volte la storia arriva a punti di svolta: per il bene di tutti, é necessario che la svolta del 2009 sia efficace».

Quella che aspetta i delegati è una luccicante vetrina della Green economy possibile: fuori dalla sala delle conferenze le pale eoliche forniscono energia pulita ai delegati che ascoltano Rasmussen e Rajendra Pachauri aprire la prima sessione della Cop 15, ma de Boer ricorda che la Danimarca non è il mondo e che per combattere davvero il global warming ci vogliono soldi, soprattutto destinati ai Paesi poveri e vulnerabili. 

La pressione sugli Usa è crescente.

De Boer ha anche annunciato che Pachauri si occuperà oggi dello scandalo delle e-mail trafugate ad un'università britannica da eco-scettici che rivelerebbero la manipolazione dei dati sul riscaldamento globale, ma ha già precisato che il processo di revisione scientifica dell'Onu dei dati sul clima è in grado di scoprire ed isolare le manipolazioni: «Non credo che in giro, ovunque, ci sia una procedura così sistematica, così completa e così trasparente. Spero che, come parte del processo negoziale, venga dato un ambizioso obiettivo americano  e un forte sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo».

Obama ha deciso di spostare la sua visita a Copenhagen all'ultimo giorno della Cop 15, un segnale più che positivo, subito accolto da de Boer: «Sono felice che venga verso la fine della conferenza insieme agli altri capi di Stato e di governo. Il presidente Obama ha detto fin dall'inizio che se avesse avuto la convinzione che la gente fosse qui per negoziare in buona fede poi avrebbe voluto essere parte di questo processo e per garantire un risultato ambizioso a  Copenhagen, e questa è esattamente la discussione che i Capi si dirige di Stato e di governo devono fare al loro arrivo. Time is up, Nelle prossime due settimane i governi devono fornire una risposta forte e lungo termine per la sfida del cambiamento climatico».

Il clima a Copenhagen sembra dunque volgere al meglio ed il comportamento "impegnato" di Obama é visto come il barometro di una probabile buona intesa. E 20 esperti sui diritti umani dell'Onu hanno inviato alla Cop15 un appello congiunto perché si trovi un accordo ambizioso che protegga i diritti umani di tutti: «L'aumento del livello del mare e delle temperature atmosferiche, le tempeste le siccità ed i cicloni hanno e continueranno ad avere implicazioni dirette sul godimento dei diritti umani. Le conseguenze nefaste del cambiamento climatico vengono risentite più duramente nei Paesi più poveri. Le persone povere e marginalizzate, che vivono sovente in zone vittime dei catastrofi naturali e che dipendono dalle risorse naturali per la loro sussistenza, sono davanti ai più grandi rischi». L'appello rivolto a nome dei più poveri tra i poveri a Copenhagen è quello di approvare «Un nuovo accordo che prevenga ulteriori cambiamenti climatici e che protegga le persone dalle loro conseguenze negative».

Speriamo che i grandi del mondo questa volta non solo li ascoltino, ma che alle promesse seguano i fatti.

Torna all'archivio