[07/12/2009] News toscana

In Toscana si vive bene, che è diverso dall'essere una regione 'sostenibile'

FIRENZE. Due settimane fa si sono tenuti a Firenze i "Green days" della Regione e poiché entro poco tempo nessuno se ne ricorderà, conviene continuare a parlarne per contrasto al pericoloso messaggio mediatico che si è tentato di far passare contro tutte le evidenze: che la Toscana è una regione sostenibile, confondendolo con l'altro più veritiero che in Toscana si vive meglio che in tanti altri luoghi.

Abbiamo già detto che la prima ragione della insostenbilità toscana dipende dalle politiche e dalla mancata integrazione tra società, ambiente ed economia, la seconda è che manca un'idea di'impresa sostenibile nella produzione e nel lavoro.

Nonostante gli sforzi di qualche meritorio gruppo (per esempio la commissione regionale per l'impresa etica), i tentativi di attuare regolamenti tipo Emas, ecc., non si è fatto un passo avanti nel migliorare la qualità delle attività produttive, nel far nascere settori specifici di innovazione produttiva e delle tecnologie in campo energetico e delle risorse rinnovabili, risparmio energetico, ecc. e da questo ricavare nuova occupazione "nuovi e migliori lavori". Certo il problema è nazionale ma per una Regione che in una scala di sostenibilità avrebbe l'ambizione di essere seconda solo al Trentino è un bel problema.

Il fatto è che ha predominato la sola valutazione economica di ciò che si faceva in Toscana e i vari costi che nel frattempo l'ambiente pagava al compromesso sociale tra capitale e lavoro erano lì a testimoniare come in fondo si trattasse di una "ricostruzione" deficitaria del fattore natura come fattore produttivo. Ricostruzione intesa proprio come ricostituzione in loco di ciò che veniva dissipato magari nell'esportazione o nell'importazione (per es. di pelli da conciare).

Ma la crisi nata nella finanziarizzazione forzata dei mercati, trasferitasi poi nell'economia reale, ha messo a nudo (a) l'esplosiva disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, (b) lo stato grave degli effetti ambientali, climatici e per la salute di un modo di produrre e di consumare di dissipare risorse finite.

La Toscana si trova così disarmata per non aver ragionato ed agito per tempo al fine di dar vita a un'economia industriale di successo fondata sulla "ricostruzione" in loco del fattore natura, come produttrice di valore non solo nelle aziende ma nel modello sociale ed economico.
Avremmo così scoperto l'estrema innovatività di un fattore (natura) capace di trasformare le ragioni, contenuti e caratteri degli altri due fattori: capitale e lavoro attraverso la mediazione della società e delle istituzioni ma anche della tecnologia.

Invece si è continuato caparbiamente da parte della maggioranza delle imprese a volerla considerare come caratteristica intrinseca al capitale e quindi luogo da cui prelevare ricchezza e in cui riversare materia dissipata, dopodiché il PIL misurava il tutto come crescita, magari in declino.

Così non si è investito in ricostruzione di natura, né in ricerca né in sviluppo della conoscenza (essendo questa in particolare un bene che non nasce e non si riproduce sul mercato ma nel sistema pubblico dell'istruzione e nella libera circolazione delle idee) e le imprese non hanno messo a disposizione neanche un minima parte del valore prodotto o del prodotto sociale (come cooperazione, coesione, conoscenza, territorio) di cui si sono largamente avvantaggiate nel corso dei decenni dello sviluppo del modello toscano. Trovando in questo occhi e orecchi compiacenti nel susseguirsi dei governi regionali e locali.

Viene a mente il bel libro a cura di David S. Landes (1987) "A che servono i padroni?".

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