[11/12/2009] News

Cop 15: il costo dell'inazione č in assoluto il pių alto da pagare sia per le attuali generazioni che per quelle future

ROMA. Proprio agli inizi di dicembre, quindi in vista della 15° Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici in atto in questi giorni a Copenaghen, il Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment, diretto dal noto economista Lord Nicholas Stern, della London School of  Economics and Political Sciences, in collaborazione con l'Università di Leeds, ha pubblicato un interessantissimo rapporto sulla riduzione delle emissioni di gas climalteranti.

Il rapporto, curato da Alex Bowen e Nicola Ranger, si intitola "Mitigating climate change through reductions in greenhouse gas emissions: the science and economics of future paths for global annual emissions" (ed è scaricabile dal sito della London School of Economics vedi link)

Come abbiamo già ricordato in diverse altre occasioni nelle pagine di questa rubrica, la sfida che l'umanità ha di fronte è veramente epocale: grosso modo sia nel 1990 sia nel 2000 le emissioni globali sono state di circa 40 Gt (miliardi di tonnellate) di CO2 equivalenti (anidride carbonica equivalente) all'anno, mentre oggi si aggirano oltre le 50 Gt di CO2 equivalenti. Dimezzare il livello di emissioni per il 2050 rispetto al 1990 comporta quindi la riduzione a 20 Gt di CO2 equivalenti all'anno.

Le emissioni pro capite a livello mondiale (tenendo ovviamente conto della crescita della popolazione) sono state, fra il 1990 ed il 2000, pari a 7-7,5 tonnellate all'anno, e oggi hanno sorpassato le 8 tonnellate annue. Verso la metà del secolo quando la popolazione sarà probabilmente di 9 miliardi l'obiettivo di riduzione che dovrebbe essere stabilito  per il 2050 corrisponderebbe a circa 2 tonnellate pro capite all'anno (la "quota di natura" di emissioni pro capite).

Appare evidente che la riduzione delle emissioni da 7-8 tonnellate a 2 tonnellate pro capite all'anno rappresenta una sfida veramente epocale.

Attualmente 7-8 tonnellate pro capite all'anno costituiscono la media globale, ma gli scostamenti che si verificano nei vari paesi sono notevoli. Negli Usa, in Canada e in Australia le emissioni pro capite sono di oltre  20 tonnellate all'anno; in Europa e in Giappone attorno a 10-12 tonnellate all'anno; in Cina più di 5 tonnellate all'anno; in India sotto le 2 tonnellate all'anno e nella maggior parte dell'Africa sub-sahariana sotto la tonnellata all'anno.

Come abbiamo già potuto ricordare nelle pagine di questa rubrica, riportando i dati del recentissimo Carbon Budget 2008 pubblicato dall'autorevolissimo  Global Carbon Project, le emissioni di anidride carbonica dovute all'utilizzo dei combustibili fossili ed alla produzione di cemento hanno continuato a crescere nell'arco del 2008, del 2%.

Tale crescita ha portato ad immettere nell'atmosfera 8.7 miliardi di tonnellate di carbonio,  che corrisponde al 29% rispetto al 2000 e al 41% rispetto all'anno di riferimento preso nell'ambito del protocollo di Kyoto, che è il 1990. Il carbone si conferma come la maggiore fonte di emissioni di carbonio. Oltre il 90% della crescita dovute alle emissioni da utilizzo del carbone deriva dall'incrementato utilizzo del carbone in Cina e India avutisi negli ultimi anni.

I cambiamenti nell'utilizzo del suolo (Land Use Change) sono responsabili per l'emissione netta di altri 1.5 miliardi di tonnellate di carbonio annue nell'arco degli ultimi 15 anni. Nel 2008 le emissioni da questa fonte sono declinate a 1.2 miliardi di tonnellate di carbonio ma questo calo si ritiene probabilmente dovuto alle particolari condizioni umide dovute al fenomeno de La Nina, che hanno contribuito a limitare gli incendi e i tassi di deforestazione nel sud-est asiatico e, quindi, le conseguenti emissioni.

Attualmente le concentrazioni di gas che modificano la composizione chimica dell'atmosfera e incrementano l'effetto serra naturale, sono di 435 ppm di CO2 equivalente. Lord Stern, famoso autore del ponderoso studio del 2006 sull'economia del cambiamento climatico ("The Econonics of Climate Change" Cambridge University Press) , nel suo recente bel volume, pubblicato quest'anno, dal titolo "Un piano per salvare il pianeta", Feltrinelli editore), ha ricordato :  «A meno di non innescare deliberatamente una recessione di grandi dimensioni a livello mondiale, è impossibile attuare istantaneamente una forte riduzione delle emissioni e tantomeno bloccare il loro aumento nel giro di qualche anno e, al tasso attuale di 2,5 ppm all'anno, nel 2015 saremo già attorno alle 450 ppm». Stern ricorda chiaramente che «Se non manteniamo la concentrazione al di sotto delle 500 ppm di CO2 equivalente i rischi saranno altissimi».

Infatti il nuovo rapporto del Grantham Institute ci ricorda che la proposta stessa del rapporto Stern del 2006 di raggiungere un tetto massimo di 550 ppm di anidride carbonica equivalente, per operare una stabilizzazione delle emissioni nel lungo termine è, alla luce delle più recenti ricerche scientifiche, ritenuta unanimemente troppo alta. I ricercatori del Grantham ci dicono che nessun percorso di riduzione delle emissioni ci può garantire oggi il 100% delle probabilità di evitare un incremento delle temperature medie terrestri di 2°C rispetto all'epoca preindustriale, dato ritenuto oggi dalla comunità scientifica e fatto proprio da importanti documenti politici (come quelli dell'Unione Europea, dell'ultimo G8 tenutosi a L'Aquila, del Major Economic Forum del 2009, del G20 di Pittsburgh, ecc). Le analisi degli studiosi del Grantham Institute suggeriscono che, allo stato attuale, si può fornire solo un 50% di possibilità di limitare il riscaldamento globale ai fatidici 2°C.

Quindi, secondo la ricerca del Grantham, se anche tutte le emissioni si fermassero ora, ci sarebbe ancora possibilità che la temperatura media della superficie terrestre possa raggiungere i 2°C in più rispetto all'epoca preindustriale. 

Per non andare oltre questo 50% di possibilità è quindi necessario che i policy makers riuniti a Copenaghen fissino le emissioni annuali ad un livello tra le 40 e 48 Gtonn di anidride carbonica equivalente entro il 2020.

Entro il 2050 le emissioni globali annuali dovrebbero essere invece intorno ai 14-17 Gtonn di anidride carbonica equivalente. Come possiamo vedere è urgente che a Copenaghen si delinei un trattato legalmente vincolante, efficace ed equo. La cosa peggiore è perdere tempo. Il costo dell'inazione, del non far nulla, dello stare a guardare è in assoluto il più alto da pagare sia per le attuali generazioni che per quelle future.

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