[14/12/2009] News

L’Africa blocca i lavori a Copenhagen, ma poi ci ripensa

LIVORNO. Dopo un incontro con la presidenza danese, i Paesi africani, e quelli del G77 che si erano subito associati a loro, sono tornati ai tavoli dei gruppi di lavoro del summit di Copenhagen che avevano abbandonato per protesta, bloccando così l'intera Conferenza Unfccc. Il Gruppo Africano ha chiesto a Connie Hedegaard, ministro danese per il clima e l'energia, presidente della COP15 e prossimo commissario europeo, «la certezza della trasparenza dei negoziati e, prima di procedere con nuove negoziazioni, che vengano assicurati seri impegni economici a favore dei paesi poveri». La Hedegaard  li ha rassicurati che nel documento finale verrà data maggiore enfasi a nuovi impegni nel solco del Protocollo di Kyoto.

Il boicottaggio-lampo i Paesi africani lo avevano già attuato ai Climate change talks di Barcellona a novembre ed avevano promesso di farlo anche a Copenhagen se non ci fossero stati passi in avanti sostanziali: oggi hanno fatto saltare i tavoli negoziali del summit abbandonando i gruppi di lavoro e rendendo evidente nei fatti uno stallo politico che era nei fatti. Il Gruppo Africa, che rappresenta 53 paesi, ha detto in una conferenza stampa che non accetterà un nuovo accordo sul clima che non sia basato sul protocollo di Kyoto. La situazione è diventata incandescente, ma le avvisaglie c'erano tutte. Santo Grammatico, coordinatore di Legambiente Liguria da Copenhagen, ci spiega che «In una conferenza stampa svolta nei corridoi dell'affollatissimo centro congressi di Copenhagen dove é in atto il Vertice ufficiale sul cambiamento climatico, i parlamentari africani hanno espresso grave preoccupazione per il proseguimento dei negoziati in corso. Nel documento distribuito ai partecipanti viene sottolineata la mancanza di trasparenza e democrazia nel processo in atto. Awudu  Mbaya Cyprian, Presidente esecutivo dei parlamentari Pan-Africani sul cambiamento climatico ha dichiarato che la posizione africana non è stata considerata e che risulterà conveniente non siglare alcun accordo piuttosto che aderire ad uno che significherà la morte per il popolo africano».

Secondo Grammatico «Visibilmente arrabbiati, i parlamentari africani rivendicano l'approccio che caratterizza il Protocollo di Kyoto per cui vi sono responsabilità comuni sul cambiamento climatico in atto ma queste devono avere un peso ed essere differenziate tra Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo. Se in queste ore non vi sarà la garanzia di una continuità degli impegni secondo la filosofia del protocollo si rischia una seria spaccatura nei negoziati».

Ora i ricchi cominciano a preoccuparsi davvero e il ministro australiano per la lotta al cambiamento climatico Penny Wong ha detto che «Si tratta di una rottura sul processo e sul metodo, e non sulla sostanza, e questo è deplorevole». Per il Gruppo Africa non è affatto così e ha avvertito che il protocollo di Kyoto potrebbe "essere ucciso" se i negoziati continueranno lungo il binari tracciati dalla Presidenza. La rivolta africana nasce dal fondato sospetto che a Copenhagen i Paesi sviluppati stiano tentando di non rinnovare gli impegni di riduzione dei gas serra per il post-2012, e per questo vogliono che sia convocata una sessione dedicata solo al dopo Protocollo.

Il quotidiano danese Politiken cita un testo nel quale il gruppo dei 50 Paesi africani chiede ai Paesi ricchi di dare il 5% del loro Pil a quelli in via di sviluppo per sostenerli nella lotta contro il cambiamento climatico. Molto più di quel che fino ad ora si sono detti disposti a dare il G8 e gli altri Paesi industrializzati. Il 5% del solo Pil Usa del 2008 ammonta a 722 miliardi di dollari, cento volte più degli aiuti proposti dall'Ue nei prossimi  3 anni e molto, molto di più dei 100 miliardi euro di cui ci sarebbe bisogno entro il 2012 per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici entro il 2020. Ma le cifre non collimano proprio: secondo il Gruppo africano ci vogliono 400 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2012, per l'Onu ci vorrebbero 10 miliardi all'anno.

Gli africani chiedono che i Paesi ricchi taglino le emissioni del 50% entro il 2017 rispetto ai livelli del 1990, arrivando al 65% entro il 2020, molto di più di quanto sia disposta a fare anche l'Ue. Secondo Politiken, se  non ci saranno progressi è probabile che i leader africani, almeno molti di loro, disertino il vertice finale dei Capi di Stato e di governo del 16 e 17 dicembre.

Sul Guardian un delegato africano spiega: «Si tratta di una situazione che non è mai stata così grave. E più che probabile che molti Capi di Stato non verranno se i negoziati non saranno completati. Perché un Capo di Stato dovrebbe venire a firmare un accordo che è sostanzialmente un non accordo?»

L'inviato speciale per il clima del segretario generale dell'Onu,  Janos Pasztor, é molto preoccupato e non nasconde la sua irritazione per il "massimalismo" degli africani: «Questo è un processo consensuale ... se sono davvero che significa andare verso il boicottaggio, e se hanno intenzione di farlo, è una cosa seria. Sarebbe un peccato se un conflitto facesse sì che non raggiungessimo un accordo».

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