[21/12/2009] News

A Copenhagen un vincitore (?) c'è: la Cina

LIVORNO. Forse non è vero, come dicono in molti commentatori, che a Copenhagen non ha vinto nessuno e abbiamo perso tutti. Almeno un vincitore c'é. Il Paese in assoluto più inquinante del Pianeta, la Cina (perché in inquinamento pro capite restano gli Usa al top), che infatti è l'unica a lodare convintamente il risultato del summit sul clima conclusosi con un accordo non vincolate e non certo di grande spessore politico. Secondo il ministro degli esteri di Pechino, i risultati di Copenhagen sono invece «significativi e positivi».

Gli fa eco l'amministrazione Usa, che ha mandato il consigliere della Casa Bianca David Axelrod al seguitissimo show della Cnn "State of the Union" a dire che «Nessuno dice che questa è la fine della strada. La fine della strada, sarebbe stato il crollo totale di tali colloqui. Questo è un grande passo avanti». 

I cinesi, dopo averne preteso la testa come presidente della Cop 15 per conto del G77 e dei Paesi insulari che la accusavano di essere al servizio degli Usa, ora si trovano stranamente d'accordo con l'ex ministro danese per il clima, e nuovo Commissario Ue, Connie Hedegaard, «E' deludente, che non abbiamo obiettivi di riduzione vincolanti. Abbiamo lavorato duramente per raggiungere questo obiettivo. Ma la Conferenza ha avuto successo, nel senso che i Paesi in via di sviluppo hanno riconosciuto le proprie responsabilità per ottenere il mondo sulla strada della lotta contro il cambiamento climatico. Anche se purtroppo Copenaghen non è riuscita a rendere gli impegni giuridicamente vincolanti, è un passo avanti molto importante, che probabilmente avrà conseguenze di ampia portata negli anni a venire».

E' quel che pensa più o meno anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon che ritiene possibile trasformare i nebulosi impegni di Copenhagen in un trattato giuridicamente vincolante il più presto possibile, entro il 2010. Ma anche Ban deve fare buon viso a cattivo gioco per non perdere del tutto la faccia che aveva personalmente messo nei negoziati.

Ma forse i cinesi sono stati troppo "furbi" e i sospetti già molto forti sul loro doppio gioco stanno diventando certezze e gli alleati dei Paesi in via di sviluppo si sentono traditi ed usati, tanto che ieri sull'agenzia ufficiale   Xinhua un preoccupatissimo portavoce del ministero degli esteri, Qin Gang, affermava sdegnato: «Le  comunicazioni tra la Cina e gli altri Paesi in via di sviluppo durante il summit dell'Onu sul cambiamento climatico a Copenhagen sono stati sufficienti, trasparenti e fluidi. Alcuni media hanno riportato che il testo dell'accordo che è stato sottoposto alla Conferenza al termine di consultazioni private tra gli Stati Uniti e il  Basic, cioè Brasile, Sudafrica, India e Cina, le opinioni degli altri Paesi, in particolare quelle dei Paesi insulari e dei Paesi meno sviluppati non erano state considerate. Questi commenti non sono conformi alla realtà, sono irresponsabili e sono del tutto immotivati».

Purtroppo per il governo comunista cinese non si tratta solo delle opinioni dei giornali occidentali. Infatti non la pensano così anche molte delegazioni che a Copenhagen c'erano ed anche fra gli alleati di Pechino non sono certo tutte rose e fiori riguardo all'inciucio cinese. La sensazione che si siano usati i problemi dei piccoli Paesi per tutelare quelli dei Paesi emergenti si fa sempre più forte e il successo della Cina e del Basic, la strategia studiata nell'incontro a 4 di Pechino alla vigilia della Cop 15, rischia di trasformarsi in una vittoria di Pirro per la credibilità terzomondista di Pechino.

In un suo intervento il leader maximo di Cuba, Fidel Castro, fa un'impietosa cronaca della fase finale della Cop 15 e definisce il discorso di Obama «ingannevole».  Per Castro «solo le nazioni industrializzate sono state in grado di parlare in occasione del vertice, mentre i Paesi emergenti e poveri avevano solo  il diritto di ascoltare». Senza mai citarli, anche il vicepresidente cubano Esteban Lazo, ha preso le distanze dai compagni cinesi e dal documento finale: «Sia coloro che hanno partecipato alla stesura del documento, così il come presidente degli Stati Uniti, hanno annunciato la sua imminente approvazione da parte della Conferenza ... Siccome non potevano semplicemente respingere la decisione di "prendere atto" del supposto accordo di Copenhagen, hanno tentato di proporre un procedimento per fare che altri Paesi che non avevano partecipato a questo compromesso si unissero a loro, dichiarando il loro impegno, cercando di dare così un valore giuridico a tale accordo, il che poteva pregiudicare l'esito dei negoziati che devono continuare. Questo tentativo tardivo ha di nuovo ricevuto una forte opposizione da Cuba, Venezuela e Bolivia, che hanno avvertito che il presente documento che la Convenzione non ha fatto proprio non ha alcun fondamento giuridico, non esiste come documento delle parti e non può stabilire le regole per la sua supposta adozione. E' in questo stato che sono terminate le sessioni di Copenaghen, senza aver adottato il documento che è stato preparato surrettiziamente nei giorni scorsi, con una chiara leadership ideologica dell'amministrazione americana».

Il presidente boliviano Evo Morales ha chiesto al mondo di mobilitarsi contro il fallimento di Copenaghen e ha detto che si dovrebbe organizzare un convegno alternativo sul clima.

Secondo Yang invece il risultato del summit ha confermato il principio delle "responsabilità comuni ma differenziate", riconosciuta dal Protocollo di Kyoto, e ha fatto un passo avanti nella promozione di riduzioni di gas serra vincolanti per i paesi sviluppati e per azioni volontarie attenuante da parte dei Paesi in via di sviluppo, ma sembra un disco rotto quando ripete: «I Paesi in via di sviluppo e i Paesi industrializzati hanno responsabilità storiche molto diverse per gli attuali livelli di emissioni, e in termini di caratteristiche nazionali e fasi di sviluppo. Pertanto, essi devono assumersi delle responsabilità e obblighi diversi nella lotta ai cambiamenti climatici. La conferenza di Copenaghen non è una meta, ma un nuovo inizio».

Probabilmente Copenhagen fissa un nuovo inizio anche nei rapporti tra la Cina in rapidissima crescita  e Paesi in via di sviluppo, probabilmente i colloqui privilegiati con gli americani e le potenze emergenti hanno rotto qualcosa, la sensazione di un tradimento e di un inganno è molto evidente e la certezza che il turbo-capitalismo-comunista cinese non abbia gli stessi interessi dei Paesi "fratelli" in via di sviluppo ha fatto passi da gigante. 

Non è un caso se in soccorso degli imbarazzati vincitori viene il "nemico americano" che vanta il successo di Obama e di una sua leadership affermata nella collaborazione con le altre grandi economie. 
«Ora che la Cina e l'India hanno fissato i loro obiettivi - ha spiegato Axelrod alla Cnn. Dovremo essere in grado di controllare  quello che stanno facendo. Dovremo essere in grado di sfidarle, se non rispettano tali obiettivi. Dobbiamo proseguire comunque, perché il presidente si rende conto che il nostro futuro è legato all'economia dell'energia pulita».

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