[18/01/2010] News toscana

La Toscana per il bene comune (1)

FIRENZE  Le elezioni regionali sono vicine, destra e centro stanno approntando le candidature, il centrosinistra ha già quella a governatore nella persona di Enrico Rossi. Prima o poi si avranno anche i programmi. L'esperienza passata segnalò il legame debole tra programmi elettorali e azione politica successiva: speriamo questa volta che sia capace di legare quotidianità e prospettiva. Perché la Toscana ha un gran bisogno di rilanciare la politica per il "bene comune" per far fronte ad una crisi sociale di cui si sentono gli scricchiolii. Di fronte ai costi che la crisi ci costringerà a pagare devono prevalere il senso di comunità e il solidarismo, vien da dire di fratellanza di tradizione mazziniana e socialista.

Ma per ridefinire cosa significhi oggi una società fondata sul bene comune, una economia per il bene comune e comportamenti individuali e collettivi improntati al bene comune si rifletta sull'esperienza recente e passata per capire che cosa non ha funzionato in Toscana oltre a subire gli effetti delle crisi esogene.

ùIl Rapporto Bruntland è del 1987, la fine del cosiddetto "socialismo reale" del 1989. Grandi speranze nacquero per relazioni internazionali fondate sulla democrazia e il mercato, l'attenzione ai problemi ambientali e della fame nel mondo. Speranze andate deluse e sostitute con teoria e pratica di guerra preventiva, neoliberismo-pensiero unico, finanziarizzazione forzata delle economie locali e dei mercati (crisi finanziarie ricorrenti di Stati ed aree del pianeta -fine anni '80, fine anni '90, inizi del nuovo secolo- e infine il big crasch del 2007-2010 in atto).
L'Earth Summit si tenne nel 1992.

Tra il 1990 e il 1992 anche in Toscana penetrò la visione critica e allarmata ma ottimista del Rapporto Bruntland. E' del 7 agosto 1992, il primo Protocollo Ambiente tra la Giunta Regionale e le associazioni ambientaliste, il Patto per il lavoro è del 1996, il "Patto [con tutti i soggetti della concertazione o "Stakeholder"] per uno sviluppo qualificato e maggiori e migliori lavori" del 22 marzo 2004.

La novità fu che per la prima volta si sperimentava la collaborazione tra imprese, sindacati, istituzioni e associazioni ambientaliste, si scommetteva sulla possibilità che il mercato potesse essere "regolato" in funzione di una economia più equilibrata e giusta e fosse moltiplicatore più efficiente di politiche di qualità ambientale e di sviluppo sostenibile. Era il tentativo condiviso (in una dialettica anche aspra) di dare vita ad un sistema di concertazione non corporativa (o di modello socialdemocratico), la partecipazione del complesso di interessi (gli "Stakeholder") di una società moderna e complessa che mirava a bilanciare il profitto d'impresa e la visione a breve del mercato con azioni (politiche, sociali, culturali e ambientali) per il bene comune.

Non fu semplice, a metà degli anni '90 del secolo scorso, acquisire a questo modello gli interessi organizzati, sia per resistenze del sistema d'impresa ma anche dei sindacati, sia per resistenze interne all'associazionismo (la paura di "sporcarsi le mani").

Ma soprattutto pesò la responsabilità delle classi politiche locali di non aver saputo o voluto portare a compimento un sistema di concertazione per il bene comune che pure avevano promosso, spingendo alle estreme conseguenze la rottura degli interessi corporati in funzione del bene comune, soccombendo così alla violenta destrutturazione sociale dettata dall'egoismo economico del neocapitalismo finanziario e delle Corporation multinazionali.
(1. continua)

 

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