[24/07/2009] News

Una "crescita verde" è possibile? forse con una sottrazione

FIRENZE. «Crescita verde»: è su questa espressione, usata ieri da Enrico Giovannini nell'intervista rilasciata a greenreport per spiegare la linea politica sostenuta dall'Ocse, che vogliamo focalizzarci per fare un bilancio finale di questi giorni in cui a Firenze si è tenuto il 9° congresso dell'International school for quality-of-life studies (Isqols).

Come ha ricordato Gianfranco Bologna nel suo intervento su greenreport del 17 luglio scorso), ragionare in termini di "crescita sostenibile" (e quindi anche di "crescita verde") appare una contraddizione in termini: sostenibile è lo sviluppo (anzi, lo sarà se e quando l'evoluzione sociale, politica e mediatica verso la sostenibilità sarà compiuta), non certo la crescita economica che, per essere tale, serve di crescenti prelievi dal capitale naturale, crescenti esternalità ambientali a monte, nel corso e a valle del metabolismo economico, e di crescenti pressioni sul capitale umano, che causano poi il disaccoppiamento del benessere dalla crescita, che si verifica una volta superato un certo grado di sviluppo economico-produttivo, e di cui abbiamo ampiamente parlato nei giorni scorsi.

A lungo termine la crescita economica dovrà arrestarsi, poiché la limitatezza delle risorse materiali ed energetiche finite disponibili causerà la fine del carburante di cui si nutre il motore della crescita. Poi il discorso è complesso, occorrerà cioè vedere se e quanto si radicherà in futuro l'utilizzo di energie rinnovabili, e parzialmente anche di materia rinnovabile (si pensi al legno, anche alla luce degli sviluppi futuri di tecnologie di potenziamento della fotosintesi), ma comunque resta indubitabile che una crescita infinita è necessariamente insostenibile sul lungo termine.

Sul breve termine, però, forse l'espressione "crescita verde" potrebbe non essere quell'ossimoro che appare, ma assumere un senso. Ciò potrebbe verificarsi, naturalmente, solo se avvenisse una reale "morte del Pil", o perlomeno un suo indebolimento: appare insensato, infatti, pensare di rinunciare al principale indicatore di crescita economica, poiché essa va misurata al pari di tutti i fenomeni. E' invece possibile che il Pil sarà sostituito, come spiegava Giovannini annunciando alcune misure che usciranno dalla relazione della commissione Stiglitz, dall'indice del reddito effettivamente disponibile, in modo da avvicinare la popolazione alla percezione dell'andamento economico.

Ma sempre di indicatore di pura crescita, nel caso, si tratterà. Ad esso probabilmente si affiancheranno, nelle cronache mediatiche e nella politica, indicatori alternativi finalizzati alla descrizione del benessere umano, del progresso nella sua globalità, e anche indicatori di carattere ambientale o "misti".

E' però da sottolineare il fatto che, per modificare verso il "verde" la descrizione della crescita economica, forse non serve l'elaborazione (e la successiva azione di diffusione) di un nuovo indice: potrebbe anche essere sufficiente una semplice sottrazione. Se il Pil, infatti, è tipicamente una somma di addendi dati dai valori aggiunti, sarebbe sufficiente introdurre dei correttivi che attribuiscano un costo (cioè un simbolo "meno") alla materia, all'energia, alle emissioni climalteranti e non, e in generale a tutte le esternalità che sono individuabili da una adeguata analisi del metabolismo economico.

Dal prezzo al carbonio ad un "costo sociale" del rame, del ferro e del nickel, dalla contabilizzazione e quantificazione economica delle emissioni, anche quelle non eccedenti i limiti di legge, fino alla diminuizione della biodiversità associata ad un qualsiasi processo produttivo: se tutte queste rappresentano esternalità negative, che cosa impedisce di contabilizzarle col segno meno accanto ai segni più rappresentati dai vari valori aggiunti che nella loro sommatoria costituiscono il Pil?

Certo, la ricetta non è di facilissima applicazione: per esempio, allo stato attuale della statistica siamo ben lontani da avere un indice oggettivo che quantifichi la riduzione della biodiversità e lo "traduca" in soldoni. E discorso analogo può valere per le emissioni climalteranti, alla luce delle incertezze sull'effettiva sensibilità climatica della CO2 e degli altri gas serra. Ma già iniziative in questa direzione sono radicate, e ciò che serve è sicuramente più ricerca, ma in primo luogo un migliore coordinamento tra i diversi centri studi, tra essi e gli apparati decisionali, e tra gli apparati stessi. Inoltre, appare ancora più irta di difficoltà la strada verso l'affermazione mediatica e politica di veri e propri "nuovi indici".

Quello che viene proposto è un concetto analogo al cosiddetto "Pil Verde", ma ne vuole rappresentare un'evoluzione verso una sua (più realisticamente praticabile) affermazione nel dibattito pubblico. Il vantaggio consisterebbe proprio nella maggiore compatibilità con gli indici attualmente imperanti, e quindi sia in una maggiore agilità di elaborazione, sia soprattutto migliori possibilità di sturare le orecchie a quegli economisti, e quei politici, e quegli operatori dei media che sembrano essere sordi alla necessità di una ridiscussione dei paradigmi e degli indicatori di crescita.

Una volta poi che il "correttivo al Pil" fosse attuato, ne deriverebbero conseguenze enormi per il percorso delle società umane verso la sostenibilità: la competizione tra i paesi e tra le comunità si sposterebbe dalla produzione di beni e servizi verso la produzione di beni e servizi sostenibili. Gli indicatori macroeconomici non descriverebbero più solo i "ricavi" che otteniamo dal capitale naturale, ma gli effettivi "guadagni" che ne traiamo. E, tra le conseguenze concrete che vengono in mente, va anche sottolineato il fatto che le organizzazioni sovra-nazionali come il G8, il G15, il G20 e chi più ne ha più ne metta si troverebbero a dover ridefinire il loro statuto e la loro composizione, essendo la partecipazione a detti organismi dovuta al "piazzamento" nella classifica della crescita economica, in larga parte. E quindi si andrebbe verso un mondo guidato dal Costarica, che svetta nella maggior parte delle classifiche sia di benessere umano che di qualità ambientale? Più probabilmente gli Usa, la Cina e gli altri paesi ricchi sarebbero costretti a riorientare le loro economie, per "vincere" la classifica del Pil "corretto". E a quel punto - anche se quanto esposto ora rappresenta solo un esempio di scuola - la sostenibilità sarebbe decisamente più vicina. E, ultima ma non ultima considerazione, potrebbe anche darsi che a quel punto potremo davvero parlare di "crescita infinita", senza dover gridare all'ossimoro.

Torna all'archivio