[25/01/2010] News

Allo Stato la tutela delle acque e alla Regione la competenza nel loro utilizzo

LIVORNO. Il riparto delle competenze fra Stato e Regione in materia di acque dipende dalla distinzione fra uso e tutela del bene: all'ente locale spetta quella dell'utilizzazione, allo Stato quella della tutela. Lo afferma la Corte Costituzionale che con sentenza di questo mese dichiara illegittima la legge regionale della Campania nella parte in cui fissa la durata della concessione a 50 anni e non in 30. Una dilatazione temporale che, fra l'altro urta con la necessità in sede di rinnovo della concessione della procedere di Valutazione d'impatto ambientale (Via).

La vicenda ha inizio quando il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale, della legge della Regione Campania (la n. 8 del 2008) relativa alla disciplina della ricerca e utilizzazione delle acque minerali e termali, delle risorse geotermiche e delle acque di sorgente. E in particolare nella parte in cui esclude la valutazione d'impatto ambientale o valutazione di incidenza per i rinnovi delle concessioni "in attività da almeno cinque anni dall'entrata in vigore della stessa legge regionale". Perché contraria non solo alla competenza esclusiva attribuita allo Stato dalla Costituzione (così come riformata nel 2001) in materia di tutela ambientale (art. 117 primo e secondo comma lettera s)), ma anche alle disposizioni in materia del Dlgs 152 /06. La legge regionale impedirebbe la verifica della "permanenza della compatibilità [...] con i mutamenti delle condizioni territoriali e ambientali eventualmente sopravvenuti" anche in ipotesi di rinnovo della concessione "correlata a opere a suo tempo già sottoposte alla procedura di valutazione d'impatto ambientale". E contrasterebbe con i principi della disciplina "che sottopone a regolazione dell'Autorità concedente finalizzata a garantire il minore deflusso vitale nei corpi idrici di tutte le concessioni di derivazione di acque pubbliche".

La legge regionale campana prevede infatti che "le concessioni perpetue date senza limite di tempo, in base alle leggi vigenti anteriormente all'entrata in vigore del regio decreto n. 1443/1927, sono prorogate per cinquanta anni dall'entrata in vigore della presente legge, e le relative subconcessioni per venti anni, salvo che rispettivamente il concessionario o il subconcessionario non siano incorsi in motivi di decadenza".

L'ordinamento italiano, per lungo tempo, si è occupato soltanto dell'aspetto dell'uso e della fruizione delle acque minerali naturali e termali trascurando quello relativo alla tutela.

Il testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici si occupava di concessioni di piccole e grandi derivazioni, ma non di tutela dell'acqua. In questo contesto si inseriva la disposizione dell'art. 117 Cost., nel vecchio testo (ossia quello anteriore alla modifica costituzionale del Titolo V della parte seconda) che attribuiva la competenza in materia di Acque minerali e termali alle Regioni.

Con il Dlgs 152/06 il legislatore ha provveduto alla tutela delle acque facendo rientrare tutte le acque superficiali e sotterranee - ancorché non estratte dal sottosuolo - nel demanio dello Stato. Precisando pure che "le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato".

Il riparto delle competenze, è agevole dedurlo, dipende proprio dalla distinzione tra uso delle acque minerali e termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale delle stesse acque, che è di competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.

Fra l'altro di tale tutela ne dà conferma lo stesso Dlgs 152/06. Perché dispone che le concessioni di acque minerali e termali ossia i provvedimenti amministrativi che riguardano la loro utilizzazione, devono osservare i limiti di tutela ambientale posti dal Piano di tutela delle acque, in modo che non sia pregiudicato il patrimonio idrico e sia assicurato l'equilibrio del bilancio idrico.

Quindi, il principio di temporaneità delle concessioni di derivazione e la fissazione del loro limite massimo ordinario di durata in trenta anni (salvo specifiche ed espresse eccezioni), senza alcuna proroga per le concessioni perpetue in atto, rappresentano livelli adeguati e non riducibili di tutela ambientale. Livelli individuati dal legislatore statale che fungono da limite alla legislazione regionale.

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