[26/01/2010] News

Scelte e valori culturali nella società del rischio

NAPOLI. Succede in questi giorni in Val di Susa: sulla base dei medesimi dati empirici, si sono formati due schieramenti contrapposti, l'uno a favore e l'altro contro la realizzazione delle linea ferroviaria veloce. Succede da tempo con il nucleare o con gli organismi geneticamente modificati o con la lotta ai cambiamenti climatici: sulla base delle medesimi conoscenze, si formano due gruppi tetragoni, gli uni a favore e gli altri contro, entrambi animati dalla medesima indefettibile certezza di essere nel giusto. È molto probabile che succeda anche domani con le nanotecnologie: due partiti, l'uno pro e l'altro contro, ma entrambi senza se e senza ma.

La scienza e l'ambiente vissuti come lotta di campanile. Non succede solo in Italia. È un problema che si presenta un po' ovunque nella "società del rischio" con i medesimi caratteri generali, come si evince leggendo un bel rapporto che Dan Kahan, ricercatrice sociale presso la Elizabeth K. Dollard della Yale Law School di New Haven, nel Connecticut, USA, ha pubblicato sulla rivista inglese Nature. Gli schieramenti possono essere persino previsti, a maglia larga. Le persone che guardano ai benefici della società nel suo complesso percepiscono il rischio in maniera diversa (l'introduzione di una nuova tecnologia li allarma) rispetto alle persone che considerano valore fondante la libertà dell'individuo (sono allarmati dalle restrizioni all'introduzione di nuove tecnologie). Le varianti all'interno di questi due blocchi ideologici sono moltissime. Ma c'è una costante: una nuova evidenza empirica viene letta in maniera tale da rafforzare i propri convincimenti, invece che come un nuovo fattore di cui tener conto per ricostruire criticamente il proprio giudizio.

Tutto questo è abbastanza noto, negli ambienti degli studiosi che si occupano di comunicazione del rischio ambientale, sanitario, tecnologico. Ma ciò che è interessante sono le due proposte che Dan Kahan avanza per uscire dalla gabbia dei pre-giudizi e costruire una matura democrazia ecologica e, più in generale, una matura cittadinanza scientifica.

La prima proposta è in realtà un consiglio ai produttori di innovazione. Presentate la vostra novità in modo da accarezzare i valori di fondo dei due diversi gruppi. Sottolineate i benefici sociali a chi è sensibile ai valori comunitari e sottolineate i vantaggi privati a chi è sensibile ai valori individuali. L'idea, che abbiamo esposto in maniera sommaria, contiene spunti interessanti. Ma spesso non funziona. Quando i fautori delle biotecnologie verdi hanno messo in campo l'argomento sociale secondo cui gli ogm avrebbero consentito di combattere la fame nel mondo, non hanno attenuato, ma hanno finito per accrescere lo scetticismo dei portatori di valori comunitari.

Anche la seconda proposta è in realtà un consiglio per migliorare la comunicazione. Fate in modo che una "comunicazione amica" sia trasmessa da perone note per appartenere al campo opposto. Per esempio, prendete un testimonial del gruppo comunitario - che so, Margherita Hack - e fatelo parlare a favore della TAV (o meglio, fategli interpretare in questo senso i dati empirici disponibili). O, all'opposto, prendete un testiomonial riconosciuto del gruppo attento alla libertà dell'individuo - che so, Luca Cordero di Montezemolo - e fatelo parlare (fategli interpretare in questo senso i dati empirici disponibili) contro la TAV.

Queste due proposte - che Dan Kahn articola con ben maggiore definizione di dettaglio - sono collaudati strumenti di comunicazione professionale che, in una certa misura, possono attenuare il conflitto. Tuttavia, occorre dirlo, somigliano più a tattiche per un miglior marketing che non a processi per costruire una matura cittadinanza scientifica, capace di scegliere attraverso l'analisi critica dei dati empirici a disposizione.

Per raggiungere l'obiettivo strategico di una matura cittadinanza scientifica dove le scelte sono effettuate non sulla base di una ideologia indefettibile, ma di una laica analisi critica, non ci sono, a tutt'oggi, modelli universali. Occorre procedere caso per caso, per prova ed errore. Con estrema fatica. Sperando che  le barriere costruite dal pregiudizio dell'ideologia  mostrino qualche crepa e lascino sempre più spazio allo spirito critico della laicità.

Questo obiettivo strategico non è mera velleità. In molti paesi europei, pur tra contraddizioni ed errori, inizia a funzionare. In ogni caso la faticosa democrazia ecologica (e più in generale alla democrazia della conoscenza) ha una sola alternativa: l'autoritarismo ecologico (l'autoritarismo della conoscenza). Ma la delega totale a elite tecnoscientifiche ristrette, anche quando fa ricorso alle migliori strategie di marketing, produce danni enormi. È un'opzione sia ingiusta che inefficiente.

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