[02/02/2010] News

La Conferenza di Asilomar della geoingegneria

ROMA. L'appuntamento è ad Asilomar dal 22 al 26 marzo prossimi. È nella cittadina balneare della California che, trentacinque anni dopo la famosa conferenza dei biotecnologi organizzata da Paul Berg per valutare i rischi connessi all'ingegneria genetica, si ritroveranno i geotecnologi per valutare i rischi connessi all'ingegneria terrestre.

La geoingegneria è la scienza che studia come intervenire nella dinamica del sistema climatico del pianeta Terra per indurlo a imboccare una direzione desiderabile. E i geotecnologi converranno ad Asilomar per prendere atto che la loro scienza comporta esperimenti a larga scala dagli esiti incerti e, appunto, rischiosi. E come i loro colleghi biotecnologi si chiederanno se sono legittimati a proseguire in questa attività di ricerca oppure, in attesa di saperne di più, devono sospenderla.

Le tecniche della geoingegneria - come spiegano sull'ultimo numero della rivista Science Jason J. Blackstock, dello IIASA (International Institute for Applied Systems Analysis) di Laxenburg, in Austria, e Jane C. S. Long del Lawrence Livermore National Laboratory di Livermore, in California - sono essenzialmente due: la CDR (carbon dioxide removal), che consiste nel tentativo di rimuovere l'anidride carbonica e gli altri gas serra dall'atmosfera, e la SRM (solar radiation management), che consiste nel tentativo di gestire e modificare a piacimento il bilancio dell'energia solare che arriva sulla Terra.

Le tecniche di CDR sono svariate. Vanno dal tentativo di incapsulare anidride carbonica e confinarla in grotte del sottosuolo alla fertilizzazione degli oceani con composti a base di ferro. Sono considerate a rischio relativamente basso, ma hanno alcuni difetti: sono complicati e/o costosi e comunque richiedono tempi lunghi per incidere sugli attuali cambiamenti del clima accelerati dall'uomo.

Le tecniche di SRM consistono, invece, in tecniche come la disseminazione in atmosfera di aerosol che riflettono la luce proveniente dal Sole, contribuendo così ad abbassare rapidamente la temperatura al suolo. È quello che succede dopo le grandi eruzioni vulcaniche, che da questo punto di vista sono dei veri e propri "esperimenti naturali". La gestione della radiazione solare sperimentata dai vulcani è particolarmente appealing, proprio a causa della estrema rapidità della sua azione. Il guaio è che quelli vulcanici sono esperimenti incontrollabili. Sia perché gli effetti non sono prevedibili, neppure a parità di potenza dell'eruzione, in quanto le emissioni possono variare chimicamente da vulcano a vulcano; sia perché le nuvole di aerosol non sono confinabili. Ma scarrozzano libere per l'atmosfera e la stratosfera.

Un tipo di problemi che si ripropone con gli "esperimenti artificiali", condotti dai geoingegneri. Disseminare con gli aerosol l'atmosfera è impresa facile e poco costosa. Ma gli effetti sono imprevedibili: possono abbassare la temperatura, ma anche attaccare l'ozono stratosferico, per esempio. E, in ogni caso, incontrollabili: anche le nubi "artificiali" di aerosol scarrozzano per l'atmosfera, scarsamente confinabili e del tutto incuranti dei confini politici.

E allora nascono molti problemi sia di legittimità (chi e come può autorizzare questi esperimenti?), sia di opportunità (è lecito una sperimentazione che comporta rischi così estesi?). È per discutere di questo che i geoingegneri si ritroveranno tra meno di due mesi ad Asilomar. Ma anche per discutere di politica. O meglio del rapporto tra innovazione tecnica e politica. Il recente convegno di Copenaghen ha dimostrato quanta difficoltà abbiano gli stati ad affrontare in termini politici il problema dei cambiamenti climatici. E allora molti potrebbero essere tentati dalla scorciatoia tecnologica. Ora è vero che la buona politica non deve rinunciare all'opzione tecnologica. Ma è anche vero che mai la tecnologica ha risolto problemi squisitamente politici. Anzi, quando è stata usata male, la scorciatoia tecnologica ha prodotto guasti enormi.

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