[02/02/2010] News

Paolo Leon: Fed, Bce e banca del Giappone possono finanziare la riconversione ecologica dell'economia

GROSSETO. La discussione sulla necessità di mettere regole al sistema finanziario globale, molto presente subito dopo la crisi finanziaria di fine 2008,  è stata rinverdita dall'annuncio da parte dell'amministrazione Obama di voler prevedere misure in tal senso «per dissuadere le banche dalla speculazione per conto proprio o dei fondi speculativi» dopo essere state salvate con risorse pubbliche. Misure considerate populiste da parte di alcuni, utili se estese a livello globale da altri, tra cui il presidente Nikolas Sarkozy, respinte dal sistema finanziario che si ritiene in grado di autoregolarsi.

E' populismo quello di Barak Obama? E' fascinazione quella di Nikolas Sarkozy? O il problema di porre regole al sistema finanziario è una misura corretta?

Una domanda che abbiamo posto a Paolo Leon, professore di Economia pubblica all'Università Roma III. 

«Il populismo non c'entra niente - ha risposto Leon - e della crisi le banche e il mercato non devono dimenticarsi. Dopo la crisi del 29, si separarono le attività finanziarie da quelle delle banche e da allora fino agli anni ‘80 il sistema delle banche può definirsi come un servizio pubblico. Quindi il tema della concorrenza, come stimolo ad una funzione bancaria efficiente, è stato mal posto, negli ultimi venticinque anni. Oggi, infatti, il sistema bancario non esiste più in quanto tale, e ciascuna banca compete con le altre, e poiché il loro mercato è mal regolato, si sono formate nel tempo gigantesche formazioni finanziarie: un oligopolio che non ha nessuna delle caratteristiche di un mercato concorrenziale. Bisogna capire che gli impieghi di una banca, in un sistema, finiscono inevitabilmente nei depositi di un'altra (sia pure nella stessa area monetaria) e solo la Banca centrale può limitare l'inevitabile creazione infinita di moneta bancaria.In assenza di un sistema, nessuno può garantire che la banca eviti di comportarsi così da rovesciare i rischi sui suoi clienti. Ricordiamo che il limite all'attività di prestito, negli ultimi decenni, è rappresentato dal patrimonio della banca; ma se la banca emette titoli acquistati da altre banche e, con il ricavo, acquista a sua volta i titoli emessi da queste (compresi i titoli tossici) allo scopo di accrescere il proprio patrimonio, si può creare una fonte infinita di titoli. - ed è da questa grande speculazione, che poi i dirigenti delle banche si dividono altissimi profitti. Di qui la bolla speculativa, e il valore sul mercato dei titoli non ha alcuna relazione con il valore dell'attività economica. La misura che servirebbe, anche al mercato, per disciplinare il sistema, consiste nel separare, come negli anni '30, l'attività di banca commerciale da quella di banca d'investimento: con la prima che si finanzia con i depositi, e la seconda con l'emissione di obbligazioni.  Naturalmente, l'establishment bancario non ama affatto questa disciplina, che comporta automaticamente una riduzione degli emolumenti. Quindi serve una disciplina del sistema, che ripeto è ancora un sistema di servizio pubblico, che si deve riflettere anche sugli stipendi dei banchieri, altrimenti dovremmo pensare di dare gli stessi stipendi agli autisti dei tram, perchè anche quello è un servizio pubblico».

Quindi servono regole ma in molti, prima Sarkozy oggi anche il ministro Tremonti, dicono che dovrebbero essere regole globali, lei che ne pensa?

«Ci sarebbe bisogno di una nuova Bretton Woods, ovvero di una nuova sistemazione delle economie a livello internazionale. Ma data la situazione attuale questa mi sembra una fuga in avanti. Sarebbe sufficiente che si mettessero d'accordo la Fed, la Banca europea e quella del Giappone. Il problema è che la Banca europea non va in questa direzione e Sarkozy farebbe bene a dirlo a Trichet, anziché porre in capo al G20 la funzione di scrivere regole globali. Ci hanno già provato e non ha funzionato. Così come sarebbe bene riscoprire lo spirito keynesiano e ripensare all'idea di una banca mondiale. Ma anche questa è una fuga in avanti, ed è perciò che penso ad un accordo tra le grandi banche centrali dei paesi ricchi».

Quindi servono regole e secondo lei dovrebbero puntare a stimolare più un'economia delle cose, anziché delle carte come dice oggi Giorgio Ruffolo, e aggiungo orientare questa economia per farla diventare una economia ecologica?

«La regolamentazione della finanza e la ripresa economica non sono legate così strettamente. Per far riprendere l'economia c'è bisogno di una ripresa della domanda e adesso che non funziona più il sistema della Cina che produceva e il mercato Usa che consumava, è necessario ripensare ad un altro motore».

E qual è secondo lei questo motore?

«Senza dubbio è la riconversione verde. Se tutti si mettessero d'accordo per investire in questa direzione, si farebbe del bene a tutte le economie, e forse lo potrebbero capire anche i paesi emergenti non appena si accorgeranno che gli USA non sono in grado di acquistare le loro merci nel volume del passato. Per sostituire il motore del consumo americano, è necessario finanziare un aumento della spesa pubblica per l'ambiente e l'economia verde. In altri termini, per riconvertire l'economia in chiave ecologica, l'unica possibilità è che le banche centrali o almeno, come dicevo prima, la Fed, la Banca europea e quella del Giappone, siano disposte a finanziare i deficit dei paesi che spendono in questa direzione. Una condizione non facile ma realistica, e la speranza è ancora riposta in Obama, perché gli USA sono l'unico paese che deve ricostruire un sistema industriale diverso dal modello passato, e in grado di stare in piedi con i propri mezzi».

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