[02/02/2010] News

55 Paesi (su 194) presentano i loro obiettivi per il cambiamento climatico all’Unfccc

LIVORNO. Il segretariato dell' Unfccc annuncia in una nota che «In seguito alla conclusione dei climate change talks a Copenaghen, l'United Nations Framework Convention on Climate Change  (Unfccc), ha ricevuto da 55 paesi le richieste per gli impegni nazionali per ridurre e limitare i gas serra entro il 2020. Questi paesi insieme rappresentano il 78% delle emissioni globali da consumo energetico». L'accordo di Copenhagen concluso il 19 dicembre invitava i Paesi del mondo a presentare i loro obiettivi di riduzione e limitazione dei gas serra entro il 31 gennaio.

Secondo il segretario esecutivo dell'Unfccc, Yvo de Boer, «Questo rappresenta un importante rinvigorimento dei colloqui sui cambiamenti climatici dell'Onu all'interno delle due linee della Long-term cooperative action under the Convention e del Protocollo di Kyoto. L'impegno ad affrontare il cambiamento climatico a livello più alto è fuor di dubbio. Tali impegni sono stati comunicati ufficialmente all'Unfccc. E' necessaria una maggiore ambizione per affrontare il livello della sfida. Ma io vedo questi impegni segnali chiari di una volontà di avviare i negoziati verso una conclusione positiva. Il prossimo ciclo di negoziati formali è previsto che sarà  a Bonn, in Germania, alla fine di maggio 2010. Diversi paesi hanno manifestato il desiderio di vedere un rapido ritorno ai negoziati, con più meeting in programma. Stiamo cercando di ottenere ulteriori indicazioni da parte dei governi. Il segretariato continuerà a mantenere e aggiornare gli elenchi sul suo sito web».

I 37 Paesi industrializzati hanno presentato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni a medio termine (http://unfccc.int/home/items/5264.php). L'Australia ha presentato un pacchetto molto articolato (ed ancora indeterminato) che propone tagli diversificati: 5% - 15% - 25% rispetto ai livelli di emissioni del 2000; Il Canada pensa di allinearsi al taglio del 17% proposto dagli Usa rispetto ai livelli del 2005;  la Croazia propone target provvisori in attesa di allinearsi a quelli dell'Ue quando verrà accettata la sua adesione; i 27 Paesi dell'Unione europea confermano il 20% di riduzione e la disponibilità ad arrivare al 30% se gli altri prenderanno misure analoghe; il Giappone conferma il 25% proposto dal nuovo governo democratico; Il Kazakista è disposto a tagliare i suoi gas serra del 15% rispetto ai livelli del 1992; la Nuova Zelanda propone tagli tra il 10 e il 20% e punta molto sul land-use change and forestry (Lulucf) e sul un efficiente carbon market internazionale; la Norvegia si conferma la prima della classe con tagli dal 30 al 40%; la Russia pensa a riduzioni dei gas serra tra il 15 e il 25% ma con molti distinguo; gli Stati Uniti di Obama confermano il loro taglio del 17% rispetto al 2005 che tanto ha fatto discutere a Copenhagen.

I Paesi in via di sviluppo (una minoranza) hanno comunicato informazioni sulle loro azioni di mitigazione a livello nazionale (http://unfccc.int/home/items/5265.php). Tra questi ultimi c'è anche la Cina, discussa protagonista dell'Accordo di Copenhagen, che ha confermato tutti i suoi impegni volontari.

Il premier Wen Jiabao, in una lettera di risposta indirizzata al primo ministro danese Lars Loekke Rasmussen e al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, scrive che «L'accordo di Copenhagen, concluso dalla  conferenza del'Onu sui cambiamenti climatici, tenuta nella capitale danese a fine anno, pone le fondamenta di una cooperazione internazionale in materia di cambiamenti climatici e fornisce un orientamento per i negoziati futuri. Questo documento riflette la volontà politica di tutte le Parti a prendere in carico attivamente i cambiamenti climatici, consolida il meccanismo dei doppi negoziati della Convenzione quadro dell'Onu sui cambiamenti climatici, così come il Protocollo di Kyoto, e riafferma il principio di "responsabilità comune ma differenziata" tra i Paesi sviluppati e in via di sviluppo».

Un entusiasmo che non è evidentemente condiviso dagli (ex?) alleati del G77 che sembrano aver disatteso in massa il termine del 31 gennaio fissato dall'Unfccc. Comunque Wen assicura che «La Cina farà del suo meglio per onorare i suoi impegni in materia di cambiamenti climatici, comprendendo un mix di riduzione delle sue emissioni di biossido di carbonio per unità di Pil dal 40 al 45% entro il 2020 e in rapporto ai livelli del 2005, così come un aumento del 15% della parte di combustibili non-fossili nell'insieme della produzione energetica del Paese entro il 2020, e un accrescimento di 40 milioni di ettari della sua superficie boscata e di 1,3 miliardi di metri cubi in volume delle sue foreste, sempre in entro il 2020 e in rapporto ai livelli del 2005».

La Cina è però sempre più esposta al malcontento dei Paesi più poveri e vulnerabili che la accusano di essersi accordata alle loro spalle ed utilizzando le loro richieste come merce di scambio con gli americani e con gli altri Paesi emergenti del Basic (Brasile, Sudafrica e Cina). Per questo Wen Jiabao  assicura che «La Cina continuerà  a svolgere un ruolo attivo e costruttivo ed a lavorare di concerto con la comunità internazionale per condurre ad una conclusione significativa i negoziati sulla road map di Bali durante i colloqui climatici del Messico, in vista di trarre una conclusione globale, efficace ed obbligatoria che rafforzerà la messa in opera della Convenzione e del Protocollo».

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