[10/02/2010] News toscana

Indesiderata prima, affollata poi: la grande distribuzione e i bisogni indotti

FIRENZE. Il dibattito sulla necessità di aumentare i giorni di apertura domenicale dei centri commerciali, messa in dubbio la scorsa settimana dal presidente di Unicoop Firenze Campaini, sta ora evolvendo verso una più ampia discussione inerente i modelli di sviluppo territoriale cui puntare. E' anzi da attendersi, a questo punto, che l'argomento diverrà uno dei più caldi nella campagna elettorale per le elezioni regionali.

L'eccessiva e sregolata (o perlomeno poco regolata) penetrazione del terziario diffuso non è certo solo un problema toscano, e non è nemmeno solo un problema legato alla diffusione dei centri commerciali (si pensi ad esempio alla commistione tra residenza e uffici che ha avuto un ruolo determinante nel processo di parziale "abbandono" da parte dei fiorentini del centro storico del capoluogo). Ma è chiaro che, per dimensioni e impatto sociale (oltre che territoriale) la questione dei giganti della distribuzione si pone come uno dei punti cardine nel dibattito sia riguardo al percorso che la società compie verso il futuro, sia soprattutto per ciò che attiene al miglior modo di gestire il territorio, il paesaggio, il suolo, alla luce della necessaria sostenibilità ambientale.

Il punto è che, diversamente dalla maggior parte dei protagonisti del sistema economico, la grande distribuzione va ben al di là dei "sacri" meccanismi di domanda e offerta: l'apertura di un centro commerciale (ma il discorso può valere anche per i colossi dell'arredamento e/o della ristorazione: Ikea e McDonalds su tutti) è un'offerta economica che non va ad ovviare ad un bisogno effettivamente percepito dalla popolazione (ad eccezione dei pur numerosi "feticisti dello shopping"), ma tende più che altro a... creare questo bisogno.

Non sembra cioè che sia radicato nella popolazione (almeno della Piana) un reale "bisogno di grande distribuzione": eppure, sistematicamente avviene che, pochi mesi dopo l'apertura di un outlet, di un fast-food, di un ipermercato, si ha il pienone.

Questo fenomeno, che avviene dovunque su scala mondiale, trova le sue motivazioni in meccanismi della mente umana che non possono certo essere né analizzati, né meno ancora disvelati, in queste poche righe. Resta il fatto che, in parole povere, se c'è l'ipermercato la "gente" tende ad andarci in massa, ma se esso non c'è la "gente" vive benissimo lo stesso, anche perché, dopo più di 150 anni dall'invenzione del motore a refrigerazione (vera "scintilla" per la sua diffusione), il radicamento della Gdo è comunque ormai più che capillare, e nessuno (al di là di pochi individui, soprattutto se limitati nella mobilità) può dirsi impedito a raggiungere agilmente uno di quei "templi" dove le merci si possono comprare tutte insieme in poco tempo, e dove soprattutto esse costano meno.

E, anche in termini di consenso, appare difficile che limiti alla apertura domenicale, e soprattutto vincoli alla diffusione e realizzazione dei centri commerciali, possano essere male accolti dalla maggior parte della popolazione, al di là della nicchia dei "consumatori compulsivi" sopra evidenziata.

Insomma il tema della gestione del territorio alla luce delle pressioni della Gdo è entrato prepotentemente nella campagna elettorale per le regionali toscane. E qui non è tanto in discussione la "libertà" e la capacità delle persone di vivere la propria vita (e i propri momenti di relax) nel modo che si sono scelte, perché - anche se pure qui sarebbero tante le cose da dire - è indubitabile che chi preferisce passare le festività sotto le luci artificiali di un outlet invece che all'aria aperta o tra le mura di un museo deve continuare a vedersi garantito questo "diritto".

Ma questo diritto è già ampiamente soddisfatto, in quasi tutta la Toscana escluse le aree più marginali. E comunque, ben più importante è il dovere (che compete alla politica) di pianificare e gestire il territorio in maniera armonica e sostenibile, senza farsi (più) abbagliare dalle luci della grande distribuzione e della sua principale ratio sociale ed economica, e cioè la creazione di nuovi bisogni.

 

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