[16/02/2010] News

Ipcc e Climategate, Massimo Scalia a greenreport: «Questione più che altro comunicativa e mediatica, non scientifica»

FIRENZE. Non "scienza", ma una "comunicazione" distorta facilitata dall'eccessiva entropia dei flussi comunicativi che caratterizza la contemporaneità. Questo, in sintesi, il giudizio che Massimo Scalia (foto), docente di Fisica ambientale e di Modelli di evoluzione nelle scienze applicate presso l'università "La Sapienza" di Roma ed ex-parlamentare, dà riguardo agli attacchi cui è sottoposta in questi giorni l'Ipcc e riguardo al cosiddetto "Climategate".

Secondo Scalia, non si rende necessaria una riforma dell'Ipcc, mentre sono auspicabili un migliore coordinamento tra i suoi organi operativi ed un (ulteriore) affinamento dei modelli probabilistici previsionali: ma il corpus della scienza climatica e la solidità dell'allarme-global warming non sono inficiati dalle «piccole perturbazioni» delle passate settimane.

Professor Scalia, abbiamo visto in questi giorni le varie critiche ricevute dall'Ipcc. In particolare è stata molto dibattuta la questione della data di scioglimento dei ghiacciai himalayani. Anche se la data del 2035 era citata solo nel documento preliminare del working group II, e non nella versione riassuntiva consegnata ai decisori politici (il cosiddetto "Summary for policymakers"), l'errore c'è stato, come ammesso anche dall'Ipcc stessa. Alla luce di tutto questo, lei ritiene che il modus operandi dell'Ipcc debba rimanere inalterato, o che si imponga una riforma?

«Io devo anzitutto dire che ritengo che il vero "salto evolutivo" si sia avuto col passaggio dal Terzo rapporto Ipcc (2001) al Quarto del 2007. Fino al 3° report, cioè, non ero particolarmente entusiasta del modo in cui venivano affrontate le interconnessioni tra la questione climatica, quella energetica, e quella relativa al ciclo bio-geo-chimico e bio-geo-fisico del carbonio. Soprattutto, mi sembra che ancora fino al 3° report non erano prese in debita considerazione le possibili "rotture" nella gradualità della crescita delle temperature globali: non era cioè tenuto abbastanza di conto, nei molteplici scenari proposti per il futuro, il possibile "effetto-soglia", che potrebbe portare a modificazioni drastiche e improvvise del clima, che magari sono impercettibili fino a qualche momento prima che esse avvengano.

Fino al Terzo rapporto Ipcc, le curve degli scenari crescevano sempre in maniera graduale. Nel 4° rapporto, invece, si prende in considerazione anche l'effetto-soglia, cioè si parla finalmente di possibili rotture di stabilità dell'incremento di temperatura: e va ricordato come l'aumento di CO2 sia sicuramente un fattore fisico che potrebbe indurre l'effetto-soglia.

Detto questo, mi sembra che la metodologia utilizzata sia attenta a mantenersi ad un livello scientifico, anche nelle parti in cui sono presi in considerazione i dati provenienti dalla cosiddetta "zona grigia", cioè non da centri di ricerca ufficiali ma, ad esempio, dalle associazioni ambientaliste.

E, anche se per molti (soprattutto per molte associazioni ambientaliste stesse) l'Ipcc è una specie di "Vangelo", e questo è un errore, comunque devo dire che secondo me, in una massa così importante di dati pubblicati, un'imprecisione ci può stare. Soprattutto, pensando al fatto che l'errore è stato riconosciuto dall'Ipcc stessa (come è stato fatto nel caso dei ghiacci dell'Himalaya), mi viene da pensare che il caso - pur "peloso" di per sé - sia stato poi montato ad arte».

Ma quindi, secondo lei, urge una riforma dell'Ipcc o non è necessaria?

«Stiamo parlando di un organismo che "promana" dalle Nazioni Unite, quindi io francamente non ne vedo il motivo: non è la prima volta che (anche) nella letteratura scientifica sono commessi degli errori, che poi sono svelati da studi successivi. Inoltre, a guardare l'immensa bibliografia del 4° report si capisce che sono stati presi in considerazione punti di vista molto diversi tra loro: e chiunque può andare a controllare se gli studi considerati sono attendibili o no.

In questo senso, credo che occorra sì un migliore coordinamento all'interno del lavoro svolto dall'Ipcc, ma mi pare che esso risponda comunque, per il metodo usato, ai requisiti di attendibilità e credibilità imposti dall'importanza della questione in ballo.

Poi, so che alcuni hanno parlato di "errori voluti". Posso solo dire che questa vicenda mi sembra sempre più simile a quella definita "Climategate".

A proposito di ciò, va riportato che per alcuni la vicenda ha evidenziato reali distorsioni. Per altri, però, siamo di fronte all'ennesimo "grande inganno" di matrice negazionista, basato sul presupposto che nessuno avrebbe letto le migliaia e migliaia di mail trafugate dai server della Climate research unit, ma che, facendo circolare nel web l'impressione che "qualcosa non torna", si sarebbero indotti i media e l'opinione pubblica a crederci. Lo dimostra il fatto che quotidiani solitamente più che autorevoli come il "Sole 24 ore" e il "Wall street journal" abbiano parlato di «prove della manipolazione di dati climatici» da parte degli scienziati della Cru. Prove che nessuno ha visto, nessuno ha mostrato, e la cui eventuale veridicità è - peraltro - ulteriormente messa in dubbio dal fatto che le prime inchieste ufficiali (come quella condotta dall'università della Pennsylvania sul climatologo Mann, che è presente in molti scambi di corrispondenza con gli inglesi della Cru) hanno "assolto" i ricercatori "incriminati" dalle accuse di anti-scientificità delle proprie azioni. Il suo parere a riguardo?

«Guardi, anzitutto anche a me viene da chiedermi come sia possibile ricostruire il contenuto di migliaia di mail... Comunque, visto che tra i temi discussi nella vicenda c'è anche l'attendibilità dei modelli di previsione climatica, voglio ribadire che a mio parere i modelli stessi sono migliorati molto, negli ultimi anni. Ma non si può chiedere ad un modello di proiezione probabilistica la stessa esattezza che si richiede in altri campi della fisica (ad esempio per le missioni spaziali) che producono necessariamente proiezioni deterministiche.

E' chiaro cioè che non si può pretendere di sapere come sarà il futuro del clima istante per istante: questo non è possibile, ci sono dei limiti previsionali e lo sappiamo tutti, e probabilmente anche qui sta uno dei difetti fondamentali del modo con cui "l'uomo comune" chiede risposte alla "scienza".

Nel merito, io non credo mai all'esistenza del "Grande Fratello". Credo anzi che ci sia, oggi, un eccesso di entropia di informazione: tutto viene messo su Youtube, ma di questo "tutto", ormai, quasi nessuno legge niente. Ma quando centinaia di scienziati accreditati costruiscono una documentazione che viene messa a disposizione di chiunque voglia controllarla, credo che questo sia da definirsi "il metodo scientifico": il resto sono chiacchere.

Poi, ripeto che anch'io non sono del tutto convinto sulle proiezioni future (soprattutto, come detto, in riferimento ai report Ipcc precedenti al quarto): ma una cosa è la critica scientifica, ben altro è la strumentalizzazione banalizzante.

Ribadisco: io non credo all'esistenza dei "Grandi vecchi", tantomeno per il clima. Il problema è che i negazionisti dei cambiamenti climatici esistono in tutto il mondo,  e in Italia abbiamo il "record", da questo punto di vista. Ma dalla vicenda Climategate non sono emersi elementi che facciano pensare che i negazionisti abbiano ragione: certo, è giusto ricordare che ci sono dei gruppi di scienziati scettici che sostengono e pubblicano le loro argomentazioni, ma va ricordato anche che queste argomentazioni, oltre a non convincere né me né molti altri, sono espressioni di un punto di vista oggi largamente minoritario.

Il punto è che, sia per il Climategate che per gli attacchi all'Ipcc, si stanno confondendo il piano scientifico e quello comunicativo/mediatico: non sono certo emersi cioè, in questi giorni, elementi che - per fare un esempio - mettano in discussione le parole non dico di un qualsiasi ambientalista, ma dello stesso presidente della Commissione europea Barroso («il global warming è in accelerazione», «la minaccia è grave»). Non ci sono state, cioè, vere novità che, sul piano scientifico, mettano in discussione la scienza climatica.

Questa è "la ciccia", insomma, cioè questo è il punto. Ci sono stati degli errori? Si, ma sono stati anche ammessi, e comunque non si può mettere sullo stesso piano un problema di comunicazione con la vera sostanza delle cose: e cioè il fatto che il "corpus" della scienza climatica e dell'allarme-global warming è tuttora forte, robusto, e non è stato certo pregiudicato da quelle che, di fronte ad esso, non sono altro che piccole perturbazioni».

Torna all'archivio