[26/02/2010] News

Da Vienna a Barcellona per la seconda conferenza internazionale sulla decrescita

ROMA. Alla fine di gennaio, il 28 e 29, ha avuto luogo a Vienna presso l'Auditorium delle Scienze la conferenza "Growth in transition" , un'interessantissima riflessione con numerosi esperti mirata ad allargare il dibattito sui limiti del modello della crescita materiale e quantitativa che ancora domina le nostre società nel mondo.

La conferenza, della quale si può reperire la notevole documentazione sul sito www.growthintransition.eu (pubblicazioni e presentazioni), prosegue la serie di appuntamenti internazionali che approfondiscono l'attenta analisi dei limiti dell'attuale modello socio-economico, basato sulla crescita economica e sul Prodotto interno lordo (Pil), come principale indicatore di benessere e ricchezza di una nazione, e riflettono sulle possibili soluzioni, concrete e praticabili.

La conferenza di Vienna, organizzata tra gli altri anche dal ministero dell'ambiente austriaco (che grande differenza con quello che accade nel nostro paese!) ha in qualche modo preparato la seconda conferenza internazionale sulla decrescita che avrà luogo a Barcellona dal 25 al 28 marzo prossimi (vedasi il sito di Research&Degrowth www.degrowth.net  ed il sito specifico della conferenza di Barcellona , www.degrowth.eu  dal titolo "Economic degrowth today").

La conferenza di Barcellona farà il punto, dopo la prima conferenza internazionale sulla decrescita, realizzata a Parigi nel 2008 e della quale ho scritto in diversi articoli di questa rubrica, sulla possibilità di avviare percorsi di un'economia della decrescita a partire già da oggi. Il tema, come sappiamo, è ampio, articolato e complesso ma si sta diffondendo ormai un clima positivo che coinvolge molti autorevoli economisti, anche di formazione classica, oltre, ovviamente a tantissimi studiosi di ecologia, scienze del sistema Terra ecc. che cercano di costituire una rete capace, con analisi chiare e documentate e proposte concrete, di dimostrare l'impossibilità di proseguire sul meccanismo di crescita che sinora stiamo seguendo.

Inoltre in agosto, dal 22 al 25, è prevista presso le Università tedesche di Brema e Oldenburg, l'11° conferenza biennale dell'International society for ecological economics - ISEE - , dal titolo "Addressing sustainability in a time of crisis" (vedasi il sito dell'ISEE, www.ecoeco.org ).

Gli approfondimenti economici, sociali e ambientali sulla decrescita si collegano agli approfondimenti sui nuovi indicatori di benessere, le accuratissime analisi scientifiche dei maggiori programmi internazionali di ricerca sugli effetti dei cambiamenti globali dovuti al nostro impatto si collegano alle riflessioni di autorevolissimi economisti e sociologi sui nuovi modi di valutare le misure dei sistemi economico-sociali che noi stessi abbiamo prodotto.

Nell'editoriale a cura della Coalizione italiana di Social watch, apparso sul numero di dicembre 2009/gennaio 2010 della rivista "Valori", della Fondazione culturale responsabilità etica dal titolo "Una rivoluzione. Cambiare misura, cambiare il mondo", si legge: "Una rivoluzione silenziosa, ma dagli impatti potenzialmente enormi sta avvenendo in questi mesi. In parte come risposta alla crisi globale, in realtà frutto di un percorso più lungo e perseverante di critica costruttiva al modello di misurazione dello sviluppo e alle sue conseguenze sui processi decisionali politici, il crollo del castello del Pil e la ricerca di nuovi indicatori, che, non solo lo sostituiscano, ma ne cambino anche il senso (da misura della ricchezza a misura della distribuzione della ricchezza, delle risorse, della qualità della vita) è, pur se ancora invisibile ai più, in corso. Certo, non sarà fragoroso come il crollo del muro di Berlino che nel giro di una notte ha cambiato la storia, ma le premesse del cambiamento reale, nel modo in cui i decisori politici, economisti (forse), imprenditori (speriamo) e semplici cittadini leggono lo stato di salute e di progresso del proprio Paese e del mondo, ci sono. Chissà quando se ne accorgeranno anche giornalisti ed opinionisti e se in futuro prossimo non troveremo (solo) il piatto e consunto Pil sulla stampa e nei telegiornali, ma anche qualche altra misura che ci dica qualcosa di più aderente alla realtà sulla nostra società e sulla terra in cui viviamo".

Come scriveva nel 1974, Aurelio Peccei (1908-1984), lo straordinario fondatore e presidente del Club di Roma, in uno dei suoi libri "Quale futuro?" pubblicato da Mondadori :"A qualunque livello, dall'individuo ai piccoli gruppi e comunità, dalla città alle arene nazionali ed internazionali, vi sono migliaia di decisioni e di azioni che ciascuno di noi può avviare o influenzare quotidianamente. Sono lieto di vedere un numero sempre crescente di uomini progressisti e coraggiosi negli organi delle comunicazioni di massa, negli organismi internazionali, nelle chiese, nelle accademie e nelle università, nell'industria, in molti centri nevralgici della società, uomini che desiderano e intendono preparare il terreno all'azione capillare del cittadino medio che, a sua volta, li può stimolare a fare di più. Vedo anche un immenso esercito popolare che lentamente sorge e si muove su fronti sparsi e frammentati in tutto il mondo. E' un esercito di cittadini qualunque, che ritengono che sia giunto il momento di cambiare le cose. Sono tanti, e tanti sono i loro obiettivi, disparati e in apparenza senza alcuna reciproca connessione. Sono e costituiscono i movimenti per la pace e i movimenti di liberazione, i gruppi spontanei di conservazione e di difesa ecologica, il movimento di liberazione femminile e le associazioni per il controllo della popolazione, i difensori delle minoranze, dei diritti umani e delle libertà civili, gli apostoli della tecnologia dal volto umano e dell'umanizzazione del lavoro stesso nella fabbrica o dovunque si svolga, i difensori del consumatore, i contestatori non violenti, gli obiettori di coscienza e una moltitudine di uomini e donne vecchi e giovani, ispirati da quello che essi ritengono essere un nuovo bene comune, da obblighi morali più forti di qualsiasi altro dovere. Come è nella tradizione, questo esercito di popolo ha alte motivazioni e un pessimo equipaggiamento, vince le scaramucce e perde le battaglie, ed è destinato a essere spietatamente sopraffatto a livello strategico e schiacciato dal tallone dei conservatori: ma ciò nonostante, poiché la storia marcia con esso, prima o poi prevarrà. Purtroppo, però, nelle circostanze attuali sarà una vittoria assai amara, perché arriverà troppo tardi per salvare l'anima e le condizioni dell'umanità. Gli eventi mondiali vanno troppo in fretta perché una marcia lenta possa raggiungerli, e la problematica che sta di fronte all'umanità è un mostro troppo formidabile per attaccarlo poco alla volta, perifericamente. Questa disponibilità e questo attivismo popolare, quindi devono affilare e coordinare i propri obiettivi, devono acquistare una possente forza d'urto; devono soprattutto diventare quella inarrestabile corrente di rinnovamento radicale della nostra società tutta, che può essere la nostra salvezza".

Ciò che Peccei scriveva nel 1974 ed il ruolo straordinario che ha avuto nel creare ed alimentare con analisi, idee e proposte questa rete internazionale, sta divenendo sempre più realtà incisiva nei giorni nostri.

La situazione economica mondiale nell'ottica della crescita indefinita, sta ovviamente peggiorando. Come ricorda una nota di Gary Gardner ( "Growth in World Economic Output Slows", pubblicata il 14 gennaio scorso), direttore di ricerca al prestigioso Worldwatch Institute (vedasi www.worldwatch.org) , il prodotto mondiale lordo, quindi l'output totale di beni e servizi, è cresciuto nel 2008 a 69.000 miliardi di dollari, quindi del 5.4%.

Il tasso di crescita ha subito una decelerazione rispetto alla media annuale dei precedenti cinque anni che era del 7.5%. Si iniziano a vedere gli effetti della crisi e della recessione globale, già con i dati finali 2008. Il più alto tasso di crescita è ancora appannaggio dei paesi di nuova industrializzazione asiatici che include le economia in rapida espansione di Cina ed India. Il 7.6%, la percentuale di crescita della regione è stata più di 12 volte la media della crescita dei paesi industrializzati. Gli effetti della crisi si verificheranno nei dati 2009 e 2010. Ma, e credo che sia molto chiaro il punto, non è a causa della crisi economica che bisogna alacremente lavorare per imboccare rapidamente modelli di sviluppo socio-economici diversi.

Abbiamo già raggiunto dei livelli soglia, dei punti critici, nella gestione delle risorse, degli ecosistemi, della natura e nella giustizia sociale, nell'equa distribuzione del reddito. Ormai è un vero e proprio imperativo morale, non più differibile e dilazionabile, individuare concreti percorsi alternativi. E tutti dobbiamo fare la nostra parte.

 

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