[02/03/2010] News

Verranno dall’Africa le piante alimentari del futuro?

LIVORNO. L'Africa si sta chiedendo come potrà affrontare dal punto di vista agricolo i sempre più veloci ed acuti cambiamenti climatici e l'aumento delle temperature. Tra 40 anni il Kenya potrà ancora coltivare il mais che è l'alimento di base della sua popolazione e che è già stato colpito da 5 stagioni di siccità devastanti? E quanta acqua e concime ci vorranno per portare avanti le coltivazioni attualmente più diffuse nell'Africa già travolta dal global warming, ma dimenticata dal resto del mondo e sconosciuta agli eco-scettici?

La Michigan State University (Msu) ha messo a punto per la prima volta un modello climatico adattato all'africa orientale, che tiene conto delle risorse idriche e agricole, elaborato e funzionante attraverso un super-computer, che contribuirà a selezionare con precisione i tipi di piante esistenti in tre Paesi, Kenya, Uganda e Tanzania, che sono più adatti ad affrontare i cambiamenti climatici e a fornire buoni rendimenti.

Il programma della Msu sarà molto utile alle numerose organizzazioni e istituti di ricerca che lavorano alla previsione e mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici sulla vita dei più poveri e sulla produzione alimentare in Africa, la novità è la scelta di un modello regionale molto ben definito e circoscritto dell'impatto del global warming su una grande varietà di colture agricole locali.

«Questo potrebbe portare a selezionare e poi a favorire la coltivazione di varietà resistenti ai fattori climatici  - spiega Jennifer Olson, una ricercatrice della Msu - L'Africa orientale si sta già confrontando con l'impatto del cambiamento climatico, le colture alimentari subiscono uno stress idrico estremo. Gli abitanti delle Terre Alte kenyane, che coltivano tradizionalmente del the o del caffè, si sono messi a sperimentare la coltivazione del mais e dei fagioli, dopo che il clima si è riscaldato. Il lavoro su questo modello è iniziato 10 anni, attraverso la raccolta di dati utili, quali l'impatto delle sostanze nutritive sul alcune colture alimentari, o l'impatto dello stress idrico su certe altre, che in seguito sono stati integrati al modello. Il modello è sempre in via di perfezionamento».

I dati elaborati dal super-computer americano permettono di "sperimentare" l'impatto del cambiamento climatico, ad esempio gli effetti di temperature elevate e della mancanza di acqua su una certa varietà di coltivazione, saltando (e guadagnando tempo) la sperimentazione degli effetti dei cambiamenti climatici sul terreno. Secondo i ricercatori americani  «Questo contribuirà ad accelerare il ciclo della ricerca in agricoltura».

A quanto pare il sistema funziona, tanto che il New Partnership for Africa's Development (Nepad) e l'International Livestock Research Institute (Ilri) hanno stanziato una borsa di studio da 10,67 milioni di dollari (finanziata dalla Swedish International Development Agency) per sostenere la messa in atto di un meccanismo di finanziamento competitivo multidisciplinare delle scienze biologiche in Burundi, Etiopia, Kenya, Rwanda, Tanzania ed Uganda. Bruce Scott, dell'Ilri, spiega che questa nuova leva di nuovi ricercatori africani dovrà trovare «Soluzioni innovative utilizzando la biologia per migliorare la resilienza delle colture al cambiamento climatico, o eventualmente per migliorare la durata di conservazione di un prodotto alimentare».

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