[04/03/2010] News

Emergenza rifiuti in Campania, la corte Ue condanna l'Italia

LIVORNO. La Corte di Giustizia europea condanna l'Italia per non aver creato in Campania (551 comuni) una rete integrata e adeguata di impianti di recupero e di smaltimento di rifiuti idonei a consentire l'autosufficienza in materia, improntata al criterio della prossimità geografica. Una situazione che fra l'altro che ha determinato un pericolo per la salute dell'uomo e per l'ambiente.

«Una sentenza meritata.- commenta Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente - Quindici anni di commissariamento della regione non sono serviti a null'altro che a sprecare circa 3 miliardi di euro per avere, ad oggi, impianti di trattamento inadeguati, centinaia di siti da bonificare in tutta la regione, emergenze sanitarie da affrontare e multe salate da pagare».

Dunque l'Italia, non avendo adottato tutte le misure necessarie per il trattamento dei rifiuti e avendo messo in pericolo la salute umana e recato pregiudizio all'ambiente, ha violato la normativa europea sui rifiuti (la 2006/12 ora sostituita dalla nuova direttiva del 2008).

L'Italia ha trasposto la direttiva nel 2006 (con il Dlgs 152/06 a più riprese modificato e ancora in corso di revisione) e, per quanto riguarda la regione Campania, una legge regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini.

Ma ciò non è servito a risolvere la situazione di crisi: ingenti quantitativi di rifiuti si sono ammassati nelle strade, nonostante l'assistenza di altre regioni e dell'autorità tedesche. E tutto ciò ha dimostrato appunto un deficit strutturale di impianti a cui non è stato possibile rimediare.

Dal canto sui l'Italia si è difesa dalle accuse europee sostenendo che il governo avrebbe compiuto ogni possibile sforzo per arginare tale crisi, sia mobilitando i propri migliori esponenti e persino le forze armate, sia realizzando importanti investimenti finanziari. E ha pure sostenuto che le disfunzioni dei sette impianti di Cdr sono dovute a inadempienze contrattuali, o addirittura a comportamenti delittuosi o criminali, indipendenti dalla volontà del governo. Concludendo che "tutte queste circostanze sarebbero tali da rappresentare cause di forza maggiore".

Ma secondo la Corte di Giustizia - e ancora prima l'avvocato generale - né l'opposizione della popolazione, né gli inadempimenti contrattuali e neppure l'esistenza di attività criminali costituiscono casi di forza maggiore che possono giustificare la violazione degli obblighi derivanti dalla direttiva e la mancata realizzazione effettiva e nei tempi previsti degli impianti.

Una direttiva che fra l'altro fissa obiettivi di protezione dell'ambiente e della salute umana e che lascia agli Stati membri un potere discrezionale nella scelta delle misure da adottare. Ma che comunque, vista la natura preventiva dell'obiettivo della tutela della salute, obbliga gli Stati a non esporre la salute umana a pericolo durante le operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti.

D'altra parte, l'Italia - che non ha contestato la realtà  - ha ammesso la pericolosità della situazione per la salute umana, esposta a un rischio certo.

«Eppure - ha continuato Ciafani - proprio in Campania ci sono 150 comuni che hanno saputo affrontare la questione rifiuti in modo efficace e utile. 150 comuni che hanno attivato la raccolta differenziata e raggiunto gli obiettivi previsti dalla legge. Salerno, in particolare, si è distinta per efficacia e concretezza nell'aver attivato, unico capoluogo della regione, la raccolta porta a porta in tutta la città».

«Il problema dei rifiuti in Campania - ha sottolineato il presidente di Legambiente Campania Michele Buonomo - che sta costando il blocco di 500 milioni di euro destinati alla regione dall'Ue, non era quindi irrisolvibile. Al contrario, la replica delle buone pratiche portate avanti in solitudine da questi Comuni virtuosi avrebbero potuto rappresentare la soluzione più concreta e positiva, mentre proprio questi, sono stati penalizzati dall'assenza degli impianti di compostaggio in loco».

 

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