[30/07/2009] News toscana

Il paradosso della chiusura dell'azienda che riciclava rifiuti (mentre le raccolte differenziate aumentano)

LIVORNO. Il caso Recoplast di Agliana oggi sarà al centro di un presidio convocato dai sindacati davanti alla Prefettura di Pistoia, per cercare di salvare i 45 posti di lavoro che l'azienda offriva sino al suo fallimento, mentre riguardo ai materiali trattati, negli ormai lunghi mesi di sospensione dell'attività, la capacità di riassorbirli si è concretizzata nelle altre realtà toscane.
Sulle cause della chiusura hanno influito diversi fattori sostanziali, tra cui problemi relativi alle autorizzazioni, alla logistica e alla dotazione impiantistica, non ultimo il fatto che il materiale prodotto con la plastica riciclata trovasse difficilmente una collocazione sul mercato.

Un tema che non è di poca importanza quando si parla della filiera del recupero di materia che proviene dalle frazioni dei rifiuti raccolti in maniera differenziata, perché nei fatti rende difficile, quando non addirittura impossibile, la chiusura del cerchio.
Un tema che non dovrebbe essere tralasciato nel momento in cui si pianificano obiettivi di raccolte differenziate nel campo dei rifiuti urbani e che non dovrebbe essere ignorato quando si cerca di dare una risposta alla collocazione degli scarti industriali.

O che almeno dovrebbe avere la stessa attenzione che viene rivolta a come migliorare i sistemi di raccolta differenziata sia per quantità che per qualità, ma che invece spesso sfugge.
Che fine fanno i prodotti ottenuti con i materiali riciclati? Quello che con un neologismo vengono definiti i ri-prodotti. Senza dubbio le strategie comunitarie hanno cercato di incentivare politiche industriali volte ad ottenere nuovi prodotti da frazioni derivanti da materiali post-consumo, ma ancora siamo a situazioni di nicchia che trovano spazio in settori in cui si può aggiungere un plus valore al prodotto ottenuto e che faticano invece a ricollocarsi in un mercato più ampio.

Ve ne sono tantissimi esempi che vanno dai filati ottenuti dal riciclaggio del Pet utilizzato per imbottigliare acqua e bevande, a prodotti di design per l'arredamento. Sul sito www.matrec.it o su altri similari di esempi in tal senso se ne trovano tanti, ma appunto, rappresentano una goccia nel mare delle quantità di materiali che provengono dal riciclaggio dei rifiuti.

Il problema, o per meglio dire, i problemi che stanno a monte di questa scarsa propensione alla reintroduzione di riprodotti sono diversi, ma gran parte riconducibili alla mancanza di serie politiche che ne incentivino la loro diffusione, da una parte, e da un sistema industriale che troppo spesso viene lasciato libero di privilegiare l'uso di materie prime, anziché di materie provenienti dal recupero, e che solo adesso a livello comunitario hanno avuto una loro definizione e un riconoscimento come materie seconde. Anche se le specifiche per la loro classificazione devono ancora essere messe a punto.

E spesso anche gli obblighi introdotti da reiterate norme nazionali o regionali di utilizzare prodotti ottenuti dal riciclaggio di materiali post consumo, non hanno fatto seguito a determinate verifiche o alla determinazione delle relative sanzioni, che in qualche caso sono state anche previste.

L'applicazione del decreto dell' 8 maggio 2003, ad esempio, che stabilisce l'obbligo per gli uffici pubblici e le società a prevalente capitale pubblico di coprire il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura non inferiore al 30 %, non ha mai avuto un effettivo decollo. Anche grazie all'eccessiva burocratizzazione del sistema che prevede l'istituzione di un Repertorio di Riciclaggio, tenuto e reso pubblico dall'Osservatorio Nazionale sui Rifiuti e diffuso anche via internet, ma che per accedervi prevede una serie di lungaggini che spesso hanno scoraggiato le aziende a parteciparvi.

L'ammissione al Repertorio avviene infatti sulla base di una domanda che l'azienda deve inviare all'ufficio di gabinetto del ministero dell'ambiente, utilizzando un apposito modello corredato dalla documentazione tecnica secondo quanto previsto dal decreto stesso e dalle circolari di settori. Tant'è che nell'elenco delle aziende iscritte nel repertorio consultabile sul sito dell'Osservatorio ve ne sono soltanto 13 e sono solo due quelle che producono beni dai materiali iscritti al repertorio (che risultano in numero poco superiore alla decina) tra cui la Revet di Pontedera.

E' evidente che se l'intenzione fosse davvero quella di spingere per la chiusura del ciclo dovrebbe essere assai diversa l'attenzione posta alle politiche necessarie ad ottenere il risultato. Ma la principale attenzione - anche dei media- va invece alle percentuali di raccolte differenziate, dimenticando che senza i passaggi successivi (e sono molti: dagli impianti necessari per la valorizzazione dei materiali, a quelli per la produzione di nuovi prodotti, alle politiche per la loro diffusione sul mercato sino agli impianti per una corretto smaltimento delle quote residue) le raccolte differenziate da sole non sono sufficienti a fare delle politiche di gestione dei rifiuti delle vere politiche industriali.

Che potrebbero offrire anche l'occasione per investimenti in innovazione tecnologica e nuovi e duraturi posti di lavoro, senza dimenticare il vantaggio ambientale che ne deriverebbe.

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