[30/07/2009] News

Verso un nuovo giornalismo scientifico (della sostenibilità)

LIVORNO. L'inserto settimanale Nova del Sole24Ore dedica oggi due pagine al futuro del giornalismo scientifico, partendo da una ricerca apparsa su Nature che dipinge una situazione all'apparenza solo (o quasi) rosea: dal 59,1% di giornalisti scientifici che ha visto aumentare il carico di lavoro negli ultimi 5 anni, all'11,13% di articoli che nel 2008 parlavano di scienza e sono stati pubblicati sui quotidiani, fino al 40% di italiani che ha dichiarato di leggere di scienza e tecnologia una o più volte la settimana sui quotidiani.

Il problema però, non ci stancheremo mai di dirlo, non è quantitativo bensì qualitativo, soprattutto in Italia. Dove non esiste un quotidiano che abbia una propria redazione ambientale, come invece esistono le cronache, l'attualità, la cultura, lo sport...

Del resto, lasciando da parte i social network, i blog, il web 2.0 in generale e concentrandosi invece sul giornalismo (of course!), i giornalisti scientifici in Italia sono pochissimi, ancor meno quelli che non lavorano in riviste specializzate ma operano all'interno dei quotidiani generalisti. Analogamente alla situazione dei giornalisti ambientali, talmente pochi da non essere neppure riusciti a tenere in piedi l'associazione dei giornalisti dell'ambiente, l'Aiga, che era nata nel 2002 e che si è subito prosciugata.

Fa quindi piacere da una parte e tristezza dall'altra, constatare per esempio che il Guardian (un giornale che in effetti greenreport cita spesso) ha quasi triplicato i giornalisti della sua redazione ambiente, che sono passati dai 4 del 2007 agli 11 attuali, come fa sapere il vicedirettore Ian Katz, che spiega anche i motivi della decisione: «La svolta è arrivata nel 2007 con la pubblicazione del IV rapporto Ipcc, che ha rimesso in prospettiva il dibattito sul cambiamento climatico: lo scenario era molto peggio di quello che tutti pensavano, ma a livello giornalistico ciò rischiava di perdere definizione, trasformandosi semplicemente in pessimismo».

Qui probabilmente, sul pessimismo-catastrofismo sta il punto del fenomeno italiano. In un paese come l'Italia che tende a negare la complessità in tutte le sue forme,  è inevitabile che ogni questione venga semplificata in modo manicheo: o nero o bianco, cioè o negazionista o catastrofista, come vengono spesso bollati tutti gli allarmi ecologici, compreso quindi il rapporto Ipcc.

Non a caso la rubrica che abbiamo affidato al direttore scientifico del Wwf Gianfranco Bologna, si intitola "Verso la scienza della sostenibilità", termine con cui si intende lo straordinario laboratorio di idee, indagini e teorie innovative che sono confluite in questa nuova scienza appunto, che sta trasformando la nostra visione del mondo, fortunatamente anche in Italia, seppure più lentamente e più difficoltosamente rispetto ad altri paesi.

La scienza della sostenibilità, prendiamo ancora a prestito quanto Bologna ha scritto nel suo  "Manuale della sostenibilità", è «un modello di pensiero che cerca di integrare la civiltà contemporanea con la complessità della natura e propone un'idea credibile di sviluppo, in opposizione al mito della crescita a tutti i costi».

Il passo avanti sarebbe poi quello di fornire strumenti utili, attraverso la scienza della sostenibilità, a chi poi deve materialmente prendere le decisioni per governare i flussi di materia e di energia su cui si basa l'equilibrio dinamico del pianeta, in due parole: economia ecologica.

Per far questo è quindi fondamentale una mediazione tra scienza ed economia, tra scienza e governance: una classe di giornalisti preparata ad affrontare mediaticamente i temi ambientali e scientifici sarebbe insomma di grande ausilio per diffondere la scienza della sostenibilità.

Torna all'archivio