[30/07/2009] News

Tra la manutenzione e le piccole opere (implorate dalle regioni) c'è di mezzo il solito Ponte

LIVORNO. Gli amministratori delle regioni del sud che già si stavano preparando all'utilizzo dei fondi Fas (fondo aree sottoutilizzate) dovranno attendere, a meno che non si trovino a governare in Sicilia.
La doccia fredda è arrivata con la decisione presa durante il vertice per il sud di Palazzo Grazioli cui hanno partecipato i ministri Claudio Scajola, Altero Matteoli, Raffaele Fitto e naturalmente Giulio Tremonti, ma dal quale è stata esclusa Stefania Prestigiacomo, anche se del Sud è fiera rappresentante e anche se il ministero da lei diretto avrebbe avuto un ruolo nelle decisioni da prendere, trattandosi di interventi sul territorio, certamente più di quello diretto da Angelino Alfano, ministro della Giustizia, che ha invece fatto parte del consesso.

Assenze a parte, la decisione che ne è emersa è di sbloccare per il momento solo i fondi destinati alla Sicilia e di provvedere poi con gradualità nei prossimi mesi a far partire anche quelli destinati alle altre regioni del mezzogiorno, per dare una risposta alla questione meridionale, per cui si ipotizza anche il ritorno di una sorta di cassa di vecchia memoria.

Ma quello che è emerso è anche sintomo di una diversa visione sulle modalità di utilizzare questi fondi, tra le regioni e il governo.

Le prime hanno infatti inserito nelle loro programmazioni piccole opere destinate a migliorare le attuali infrastrutture regionali, che vanno da interventi per la viabilità e la mobilità, quali strade e ferrovie locali sino a piste ciclabili e parcheggi, a interventi per migliorare le reti idriche, per il contenimento del rischio idrogeologico per aumentare la dotazione dei servizi al cittadino, come asili nido o strutture per l'inserimento giovanile.

Una frammentazione (per alcuni molto rischiosa per la capacità di gestione delle amministrazioni del sud) che risponde a logiche di manutenzione, di ordinaria amministrazione e che non è stata apprezzata invece dal governo più incline a destinare questi fondi a grandi opere, megai infrastrutture, nell'alveo della politica intrapresa volta tutta a questo approccio e di cui il ponte sullo Stretto ne è l'emblema.

La Sicilia evidentemente ha risposto a questa logica e ha accompagnato le intenzioni del governo che ha ribadito anche ieri la volontà di destinare queste risorse alle grandi infrastrutture a carattere interregionale che poi si possono leggere come opere nazionali e, come tali, rivendicate nel computo delle cose fatte.

Con buona pace del tanto sbandierato federalismo! E fa sorridere che il ministro Raffaele Fitto ammetta che «nei rapporti con le regioni non c'è un clima positivo».
Ma con buona pace anche delle richieste del settore edile che per bocca del presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, ha sottolineato più volte che per la ripresa economica di quel comparto servirebbero più interventi in piccole infrastrutture e in manutenzione che non opere faraoniche, quali quelle che invece vuole realizzare il governo.

Fatto sta che domani al Cipe è prevista una riunione che dovrebbe sbloccare i Programmi attuativi regionali, partendo proprio dalla Sicilia, che ha un piano che vale 4 miliardi e che ha provveduto a rimodulare spostando gran parte delle risorse (dal 10 al 30%) proprio sul capitolo delle grandi infrastrutture in particolari su quelle stradali.

Giova allora ricordare che la Sicilia è praticamente sprovvista di infrastrutture ferroviarie, almeno su determinate direttrici, che soffre di una atavica carenza idrica, in particolare in alcune province, e che è di nuovo in fase di emergenza per la gestione dei rifiuti. Interventi che sembrerebbero ben più prioritari che non un ponte per collegarla al resto della penisola.

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