[11/03/2010] News toscana

Cavalli autoctoni e tipicità agropastorali

FIRENZE. L'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione in campo agricolo (Arsia), insieme al Centro studi cavallo sportivo dell'università di Perugia, hanno presentato oggi una ricerca relativa alla caratterizzazione genetica, e alle prospettive di recupero e valorizzazione, di tre razze equine e asinine autoctone toscane. La presentazione dello studio è avvenuta nel corso di un convegno tenutosi oggi presso il Centro militare veterinario di Grosseto.

Le razze in questione sono il cavallo maremmano, il cavallino di Monterufoli e l'asino dell'Amiata. Secondo dati della regione Toscana, nelle circa 4000 aziende allevatrici diffuse sul territorio regionale sono presenti circa 18.500 cavalli. Di questi, poco più del 10% sono quelli di provenienza autoctona: 172 sono i cavallini di Monterufoli, pony baio scuro diffusi nella provincia di Pisa, 984 gli asini dell'Amiata e sono infine 1605 i cavalli maremmani, pari al 42% dei capi totali di questa razza presenti in tutta Italia (3810).

L'iniziativa si inserisce nel contesto di una generale valorizzazione di tutte le tipicità regionali nel settore dell'allevamento e in generale nel comparto agro/silvo/pastorale: dall'agnello di Zeri alla patata di Cutigliano, fino al cavallo maremmano, che in passato era molto diffuso in varie parti d'Italia (e che per certi versi lo è ancora, come si evince dai numeri citati) a causa delle sue ampie dimensioni e quindi della sua utilità per il tiro, sia delle carrozze sia nei lavori agricoli e forestali, ma che ha anche rischiato l'estinzione totale negli anni successivi alla seconda guerra.

La valorizzazione - e quindi la creazione o la ricostituzione di sbocchi verso il mercato - delle tipicità agricole e pastorali (a fini alimentari e non) passa necessariamente, oltre che per un sempre più dettagliato studio della loro caratteristiche (ad esempio genetiche e/o fenotipiche), per l'aumento della "leggibilità" dell'alto contenuto di informazione ad esse annesso e quindi per l'affiancamento, al comune marketing di matrice economica, di un "marketing culturale" che massimizzi la consapevolezza, da parte delle popolazioni locali, dei turisti e degli operatori economici, delle particolarità in questione.

Ed è, questa, una strategia su cui la Toscana, se vorrà (o almeno vorrà provare a) resistere alle sempre più forti pressioni provenienti dall'Europa e dal mondo verso l'introduzione di Ogm in agricoltura (non ultimo il caso della patata Amflora), dovrà continuare a puntare con forza.

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