[31/07/2009] News

Nuovo studio del Cnr sul petrolchimico di Gela: tutt'altro che tranquillizzante

LIVORNO. «Su la sabbia di Gela colore della paglia mi stendevo fanciullo in riva al mare antico di Grecia con molti sogni nei pugni stretti nel petto» scriveva Salvatore Quasimodo della sua terra quando ancora ci si poteva stendere sulla spiaggia dorata e quando il colore del mare non assumeva - come spesso è accaduto - un colore simile all'inchiostro. Mentre il sogno di Enrico Mattei di creare un grande polo industriale tra Gela, Augusta e Siracusa si è trasformato in un incubo quotidiano per i cittadini che solo per viverci rischiano la salute.

Dopo il rapporto Oms che metteva in evidenza eccessi significativi per il tumore allo stomaco, al colon retto e al fegato, e un profilo di mortalità dell'area indicativo di uno stato di salute influenzato da numerosi fattori di rischio a carico dell'apparato digerente, dopo le indagini epidemiologiche che hanno messo in evidenza un aumento di malformazioni congenite (40 su mille è la percentuale di bimbi malformati), adesso uno studio del Cnr ha riportato ulteriori risultati scioccanti.

Nel sangue del 20% di un campione composto da 262 persone, sono state infatti rinvenute concentrazioni rilevanti di arsenico e tracce di rame, piombo, cadmio e mercurio. E non si tratta di operai esposti a contaminanti sul lavoro, ma di casalinghe, impiegati, giovani sotto i 44 anni. Veleni presenti non solo nel sangue: anche nelle urine sono stati trovati livelli di arsenico superiori del 1600 per cento rispetto al tasso-limite. Partendo dal campione analizzato e facendo una proporzione sul totale dei residenti, il risultato è che a rischio avvelenamento potrebbero essere più di 20 mila persone.

Fabrizio Bianchi, epidemiologo del Cnr, che ha coordinato la ricerca non nasconde la sua preoccupazione: «L'impatto ambientale è indubitabile.- afferma- In mare, nelle acque, sulla terra ci sono concentrazione di metalli superiori fino a un milione di volte i livelli accettabili».

«L'arsenico - aggiunge Bianchi specificando che non può essere ricondotto ad una presenza naturale - è un composto che non rimane a lungo nel corpo. Le grandi quantità che abbiamo trovato dimostrano che l'esposizione è tutt'ora in corso».
Del resto già la relazione degli esperti (tra cui lo stesso Bianchi) sulla ricerca sugli effetti tossici che era stata ordinata dalla procura aveva messo in evidenza che l'eccesso di rischio osservato a Gela per i difetti dei setti cardiaci e dei grandi vasi è consistente. In particolare eccessi positivi sono stati riportati in associazione con contaminazione di metalli pesanti e/o solventi organoclorurati presenti nelle acque ad uso civico, piombo in aree contaminate, solventi organici in ambiente lavorativo o residenziale, composti fenolici, per l'esposizione materna e paterna a pesticidi e per la residenza vicina a discariche di rifiuti».
Una situazione che desta sgomento ma che non stupisce data la situazione del polo industriale di Gela che si estende in un'area di 500 ettari, occupata in prevalenza da raffinerie e stabilimenti petrolchimici in cui alle emissioni in atmosfera si aggiungono gli scarichi nel suolo.

La raffineria è alimentata da una centrale termoelettrica che brucia diversi combustibili tra cui anche il coke da petrolio, meglio noto come petcoke, una sostanza di scarto del processo di cracking che era stata classificata rifiuto dal decreto Ronchi (per il suo alto contenuto di zolfo, che richiedeva procedure ed impianti di trattamento e di depurazione adeguati per la sua combustione) venne in seguito riclassificata come combustibile tramite un decreto dell'allora ministro dell'ambiente, Altero Matteoli.

Che intervenne per sbloccare un sequestro che aveva posto la magistratura e che determinò di fatto il blocco dell'intero impianto per mancanza di energia elettrica, seguito da proteste e dall'occupazione degli impianti. Ma la centrale continua a bruciare petcoke senza aver minimamente adeguato il sistema di depurazione dei fumi.

Per molti anni i fanghi contenenti mercurio derivati dalla raffineria sono stati smaltiti direttamente sul terreno in prossimità della linea di costa e nell'area industriale di fronte al petrolchimico, denominata Piana del Signore sorge un centro di stoccaggio di oli con relative pipelines oltre ad alcune discariche industriali di rifiuti speciali pericolosi.
L'analisi ambientale contenuta nel Piano di disinquinamento evidenziava la presenza di siti potenzialmente contaminati, sia all'interno dello stabilimento sia nel resto dell'area industriale.
I rapporti prodotti nel corso degli anni si sprecano e in ognuno si evidenzia una situazione di fortissimo degrado e contaminazione dell'intero territorio e di tutti i suoi comparti.

«Mi pregio - ha dichiarato Rosario Crocetta che si è dimesso da sindaco di Gela da pochi giorni dopo l'elezione al parlamento europeo - in questi anni di avere individuato per primo il pericolo di inquinamenti che poteva venire da acque e sottosuolo e non ho solo vietato l'uso dell'acqua dissalata ma ho anche avviato un progetto, che è in itinere, per l'uso di acque potabili provenienti dal lago Ragoletto. Così come - prosegue - con la mia amministrazione sono stati avviati interventi di bonifica delle falde».

Riguardo all'arsenico, aggiunge Crocetta «non rientra più nel ciclo produttivo del petrolchimico da diversi anni ma se la popolazione continua a essere contaminata significa che la presenza dell'arsenico è nell'ambiente, nel suolo, nella catena alimentare».
Quindi aggiunge: «bisognerà dire se le misure adottate, la barriere di sversamento, gli impianti di depurazione della falde sono misure sufficienti a risolvere il problema. Se l'inquinamento persiste significa che bisogna ottimizzare questi processi».

L'ex sindaco chiede quindi «che il ministro dell'ambiente convochi un tavolo a Roma per la verifiche necessarie e adotti i provvedimenti». Mentre nella sua nuova veste di parlamentare europeo, che fa parte della commissione Ambiente, ha dichiarato che chiederà «che l'Europa verifichi come funzionano i petrolchimici in Sicilia e si faccia una indagine per verificare se gli atti di indirizzo Ue siano stati rispettati e se tali indirizzi siano sufficienti o servano altre normative Ue».
E se intanto si desse avvio alle normative nazionali e alle bonifiche previste forse ci potrebbe essere almeno qualche speranza in più per la popolazione di avere una aspettativa di salute più simile al resto del paese.

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