[25/03/2010] News

Suolo, parchi paesaggio... e il dopo elezioni

LIVORNO. Gli aspetti richiamati dal titolo sono sufficienti anche se incompleti a dare una idea di come ormai le questioni ambientali hanno assunto un rilievo crescente e sempre più diretto per il governo del territorio e di quella riforma dello stato di cui spesso si parla non mettendone però quasi mai in giusta evidenza e correttamente la stretta connessione tra i due aspetti.

Noi invece vogliamo partire proprio da qui, affidandoci alle cronache più recenti a partire dalla alluvioni e le frane ma anche alle difficoltà crescenti dei nostri parchi e aree protette specialmente marine e più in generale delle politiche di tutela del paesaggio. E intanto mentre tornano con ricorrente e sconcertante puntualità idee di nuovi condoni, non si fatica - o meglio- non si dovrebbe faticare molto, a cogliere quello stretto intreccio tra nuove politiche ambientali e governo del territorio.

Eppure non è così neppure dinanzi alle cronache più drammatiche. E ciò vale in Toscana per il Serchio come in Calabria per le frane, vale per il Po come per il Sarno.

La vicenda Bertolaso anche al di là dei suoi gravissimi risvolti giudiziari avrebbe dovuto aiutarci a capire cosa ancora non funziona nel paese, anzi sia andato aggravandosi proprio negli ultimi anni nonostante tutte le chiacchere sul federalismo e le riforme istituzionali. Neppure gli ultimi disastri sono finora riusciti a far emergere cosa ha voluto dire azzoppare ulteriormente pochi anni fa la legge 183 la cui mancata attuazione ha e avrà costi ben maggiori per l'erario di quelli tagliati che andranno ad aggiungersi a quelli umani e sociali.

Quando la Commissione Matteoli sulla base di una legge delega azzoppò una legge d'avanguardia non furono molte le voci a levarsi a Roma ma neppure nelle regioni nonostante che quei pasticci ci avessero creato anche delicati problemi nel rapporto con le politiche comunitarie. E nessuno ricordò che nelle conclusioni di una seria indagine parlamentare seria sulla legge 183 di qualche anno prima venisse rilevato che il punto più debole di una legge molto innovativa e valida era la l'inadeguatezza degli organi di gestione preposti che -diceva il documento conclusivo- avrebbe potuto e dovuto essere cambiato sul modello degli enti parco previsti dalla legge 394 uscita pochi anni dopo la 183.

Non solo non c'è stato alcun seguito nel senso indicato, ma ora anche gli enti parchi vengono rimessi in discussione -anzi sono già stati penalizzati- avendo il nuovo codice dei beni culturali sottratto ai piani dei parchi il paesaggio che torna così a viaggiare tra sopraintendenze varie alla ricerca di una copianificazione sempre più ardua.

Anche qui come per la 183 pochi hanno alzato la voce. Anzi in Toscana ci si è affrettati addirittura a togliere il nulla osta sui beni culturali ai parchi per affidarli ai comuni che dovrebbero ora istituire ognuno una commissione. Cosi al parco delle Apuane -tanto per fare un esempio- al nulla osta dovrebbero provvedere 16 comuni con 16 commissioni che infatti non ci sono tanto è vero si deve chiedere un aiuto al parco.

Insomma un bell'esempio anche di semplificazione amministrativa, dove decideva uno con una visione d'insieme ora dovrebbero decidere in 16 ognuno per il suo pezzetto..

Cosa emerge anche da queste poche considerazioni se non il fatto che è ormai cambiato lo scenario con cui deve misurarsi oggi il governo del territorio e qualsiasi politica di programmazione e di pianificazione cadute ormai in disuso. E lo scenario presenta due inconfondibili novità anche sul piano europeo.

Il primo attiene alla connessione tra materie e discipline prima separate -si pensi appunto ad ambiente, natura e paesaggio che la Convenzione Europea firmata a Firenze collega in maniera assai più esplicita della nostra stessa norma costituzionale dell'art 9 ( si dice infatti che tutto il territorio agricolo va tutelato in una visione non più puntuale per singoli monumenti e affini), ma anche all'eolico, le biomasse, l'agricoltura che entrano in un rapporto diverso e nuovo sia sotto il profilo del paesaggio ma anche per il consumo dell'acqua, la gestione dei fiumi e delle coste. Se a fronte di questo contesto dove le gestioni separate, settoriali risultano sempre più inadeguate quando non dannose, scardinare, manomettere normative che avevano il merito di avviare il superamento della frammentazione settorialistica o la concezione solo urbanistica appunto come la 183, la 394 etc non può che produrre danni.

E questo lo si può vedere chiaramente passando all'altro profilo ossia quello istituzionale. Quale è la novità non soltanto per il nostro paese oggi; sia che ci riferiamo ai bacini idrografici, ai parchi, ai piani paesistici noi dobbiamo misurarci con e su dimensioni prima ignorate dal governo del territorio ossia prima che la legislazione facesse riferimento a realtà come quelle idrogeologiche, naturali e così via. Si tratta in sostanza di dimensioni nuove non ritagliate o ritagliabili su confini amministrativi comunali, provinciali ma anche regionali e in più d'un caso anche nazionali. Ci troviamo di fronte insomma ad una doppia trasversalità; quella tra materie e discipline e quella istituzionale a cui fa riferimento ormai costantemente la Corte costituzionale.

Nessuna dimensione amministrativa neppure quella statale oggi in sostanza è sufficiente, in grado di fronteggiare e governare questa realtà. Da qui anche l'esigenza di dotarsi di strumenti e sedi in grado di gestire quella pianificazione idrogeologica, naturalistica, paesaggistica che non è riconducibile alle dimensioni e ai confini amministrativi. Ciò vale per le sedi e gli strumenti nazionali (Senato federale, ruolo della commissione bicamerale per le questioni regionali, la conferenza unificata Stato-regioni enti locali e poi giù giù autorita di bacino, enti di gestione dei parchi, sopraintendenze e organi istituzionali). Ne consegue che i soli livelli elettivi non sono più sufficienti e in grado di far fronte a questo nuovo contesto per governare il quale si ha bisogno di sedi e strumenti ‘speciali' che possono essere peraltro espressione solo dello stato, delle regioni e degli enti locali.

Una specialità dunque che non solo non sottrae nulla alle competenze a al ruolo delle istituzioni elettive ma le dota di strumenti più efficaci. Si pensi -e solo per fare un esempio tra i tanti- cosa significa specie per i piccoli comuni della cui aggregazione si discute da tempo immemorabile poter concorrere ed essere coinvolti nella gestione di un parco o di un bacino. O si pensi alle comunità montane e al ruolo che la montagna e non soltanto sotto il profilo economico-sociale possono avere se direttamente coinvolte nelle politiche idrogeologiche, di tutela naturale e paesaggistica.

Insomma una politica di governo del territorio, di programmazione e di pianificazione incentrata come si dice sulla green-economy ha bisogno non di politiche più accentrate - vedi i 10 milioni per i comuni montani- che dovrebbero essere gestiti dal ministero per i rapporti con le Regioni anziché in base a quella ‘leale collaborazione' che è condizione sine qua non per qualsiasi vera riforma dello stato che non sia un pretesto per nuove manfrine e trucchi.
C'è qui parte e non secondaria dell'agenda per il dopo elezioni. E per tutti non c'è solo da rimboccarsi le maniche ma anche da rivedere e alla svelta un bel po' di cose.

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