[06/04/2010] News

Gli errori che Darwin non ha mai commesso

NAPOLI. Il libro ha per titolo Gli errori di Darwin, è firmato da un filosofo, Jerry Fodor,  e da un neuroscienziato cognitivista, Massimo Piattelli Palmarini, sta per uscire in versione italiana con l'editore Feltrinelli e si propone come alternativa laica e squisitamente naturalistica alla teoria dell'evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto elaborata da Charles Darwin e sostanzialmente confermata dalla biologia molecolare, in una sintesi chiamata, appunto, «teoria sintetica» o «neodarwiniana».

Ne parla oggi, con un articolo su La Repubblica, il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza. E ne parliamo anche noi, per due motivi: perché il libro attacca la teoria su cui si fonda anche la moderna scienza ecologica - come diceva Theodosius Dobzhansky, uno dei padri della sintesi neodarwiniana non c'è nulla in biologia, dunque neppure l'ecologia, che abbia senso se non alla luce dell'evoluzione - e perché attacca proprio il ruolo che la «variabile ecologica» ha secondo Darwin nell'evoluzione biologica.

Le affermazioni principali di Fodor e Piattelli Palmarini sono, a nostro avviso, cinque. Alcune del tutto condivisibili. Altre, soprattutto quelle relative al ruolo giudicato pressoché ininfluente dell'ambiente, molto meno (e per questo il libro è stato stroncato sia dal recensore della rivista scientifica inglese Nature sia da Cavalli Sforza). Prima di prenderle in esame, però, occorre richiamare in estrema sintesi cosa dice la teoria neodarwiniana sull'evoluzione delle specie. Essa prende atto che ogni specie è composta da un numero di individui diversi, sebbene tutti presentino caratteri dei loro genitori. Darwin non sapeva quale fosse il «generatore di diversità». Oggi sappiamo che ce ne sono diversi e che il principale è di natura genetica (di qui la trasmissione dei caratteri dai genitori alla prole) e, in parte casuale (di qui le differenze anche tra fratelli). Che gli individui di una specie competono per una quantità limitata di risorse disponibili nell'ambiente. Che nella competizione alcuni sono più adatti di altri a sopravvivere nell'ambiente e ad accaparrarsi le risorse. Che, in media, i più adatti hanno una vita più lunga e un maggiore successo riproduttivo (generano una prole maggiore e a sua volta più adatta). La selezione naturale operata dall'ambiente, dunque, determina in maniera statistica il successo riproduttivo degli individui. I cambiamenti dell'ambiente o degli individui, per mutazioni casuali, determinano il cambiamento dei tipi che hanno maggiore successo e, in determinate condizioni, possono dar luogo a nuove specie.

Bene, veniamo ai cinque punti su cui si soffermano Fodor e Piattelli Palmarini. Primo: la teoria neodarwiniana, sostengono, non può e non deve essere presa come la verità assoluta e definitiva in biologia. Se c'è una teoria scientifica migliore per spiegare i medesimi fatti può e deve essere abbandonata. I due autori sostengono che la teoria di Darwin presenta vistose lacune e che una teoria migliore, rigorosamente naturalistica, esiste. Dunque occorre abbandonare la teoria darwiniana. La tesi è giusta nella sua premessa: si può sparare su Darwin. Ma infondata nelle sue conclusioni. Non ci sono né punti critici in grado di falsificare la teoria né teorie «più economiche», che spiegano meglio i fatti. Anzi, come riconoscono anche Fodor e Piattelli Palmarini, non c'è alcun altra teoria scientifica in campo che si candidi a spiegare tutti i fatti noti in biologia.

Secondo: il generatore di diversità biologica non è affatto casuale. Il fenotipo ha dei vincoli strutturali così forti, che l'evoluzione di una specie non è libera e graduale, ma può esplorare solo alcune forme e non altre. L'affermazione è discutibile. Sia perché è vero che esistono dei vincoli nella determinazione della struttura del fenotipo, ma questo non è in contrasto con la selezione naturale. Inoltre esistono anche mutazioni casuali, che giocano un ruolo decisivo nel produrre novità alcune delle quali vengono sottoposte alla pressione selettiva.

Terzo: la selezione naturale da parte dell'ambiente non è né l'unico né il principale meccanismo evolutivo. Anzi è quasi ininfluente. In realtà né Darwin né i neodarwiniani sostengono che la selezione naturale sia l'unico meccanismo operante in biologia. Sostengono solo che, in tempi lunghi, è il principale meccanismo. Ci sono infiniti esempi che la "variabile ecologica", ovvero l'ambiente, abbia selezionato alcune proposte del «generatore di diversità» e ne abbia eliminate «altre». D'altra parte in assenza di una qualsiasi pressione selettiva, nel mondo esisterebbe un caos filogenetico che non c'è. In presenza di un altro fattore selettivo principale diverso dall'ambiente,  ne vedremmo le tracce.

Quarto: sono decisivi i processi strutturali di auto-organizzazione in cui l'ambiente ecologico non gioca un ruolo. Giusto. Da almeno un secolo - da sir D'Arcy Thompson in poi - molti hanno studiato questi fattori morfogenetici. Di recente si è visto come questi vicoli strutturali siano operativi a ogni livello, compreso quelle genetico. Ma chiunque - da Brian Goodwin a Stuart Kauffman - abbia cercato di proporli come il principale fattore  evolutivo, non ha poi saputo dimostrarlo. Oggi esiste una nuova disciplina, chiamata evo-devo (evolutionary development, sviluppo evolutivo) che li prende in seria considerazione. Ma non in maniera alternativa, bensì integrativa rispetto alla teoria darwiniana.

Quinto: il principio della selezione naturale viene evocato a sproposito per spiegare i comportamenti sociali e psicologici dell'uomo da filosofi, come Daniel Dennett o da biologi, come Richard Dawkins. Giustissimo. Ogni tentativo di estendere la selezione naturale ai comportamenti culturali dell'uomo (ma anche di altri animali) e di farne una sorta di legge di validità universale è del tutto infondato. Non a caso Stephen Jay Gould e Richard Lewontin chiamava ultradarwinisti i fautori di questo approccio e li poneva fuori dal darwinismo. Compreso quel «darwinismo esteso» che ha inglobato e integrato i vincoli strutturali e di auto-organizzazione della materia.

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